Il nuovo album di Floating Points, Promises, nasce probabilmente dal regno dei cieli con una collaborazione che vede protagonisti Pharoah Sanders e la London Symphony Orchestra. È un progetto difficile da spiegare soprattutto perché più che a un album somiglia a una rito spirituale con overdose di palo santo.

Nove tracce – o meglio, nove “movimenti” – formano l’impalcatura di quello che potrebbe essere considerato un unico cortometraggio auditivo da 46 minuti, grazie alla disarmante fusione di ogni traccia con la successiva. Ma questa saga sonora, non prendiamoci in giro, al primo ascolto non è affatto semplice. Almeno non per noi comuni mortali.

Sam Shepherd aka Floating Points chiama a rapporto Pharoah Sanders, classe 1940, che ci sbatte in faccia i suoi 80 anni di talento ed esperienza con dei giri di sax così fugaci da far venire voglia di continuare ad ascoltare quello che sembra piuttosto essere un racconto di vita. Il tutto avviene sotto il magistrale accompagnamento dell’orchestra, che tiene per mano i due artisti in questa raccolta di suoni e sperimentazioni.

In apertura, con Movement 1, si ha l’impressione di rincorrere le briciole di In A Sentimental Mood di Duke Ellington e John Coltrane, un pezzo che dai lontani anni ’60 credo per tutti abbia il profumo di uno strudel di mele appena sfornato. Ma la parola d’ordine di questo album è pazienza. È necessario aspettare, e respirare, per capirne la profondità. Solo proseguendo l’ascolto è possibile coglierne la poetica e, una volta accomodati nelle prime tracce, sarà tutta una discesa. Anche se forse, pensandoci bene, sarebbe più corretto parlare di ascesi.

Dopo un po’ di perplessità nelle prime tracce un grande inchino va indubbiamente rivolto al Movement 6, ma anche a tutti coloro che sono arrivati fin qui. La ricompensa per questa eroica prova di coraggio è senz’altro contenuta negli 8 minuti e 50 secondi di trance, commozione, malinconia, dolore e piacere. La dinamica di questa traccia è semplicemente emozionante: gli innumerevoli archi dell’orchestra vibrano in un climax così intricato ed avvolgente che si lascia ascoltare come fosse un monologo e il sax di Sanders fa da sottoveste all’atmosfera rendendola unicamente magica.

La chiusura è una scossa di terremoto 10 magnitudo che scombussola l’aura di pace venutasi a creare nei precedenti 44 minuti. Una traccia capace di agitarti quanto tua madre in seconda liceo che alle 7 di mattina ti urlava che farai tardi a scuola. Una traccia che si interrompe all’improvviso e termina con 15 secondi di puro silenzio, quasi fosse un invito alla quiete.

Questo album è musica jazz, classica, elettronica, sperimentale ma è anche meditazione, caos e sentimento. Questo album è un progetto concepito sei anni fa e nato oggi sotto il nome di Promises ed io, giunti a questo punto, l’unica promessa che mi sento di fare è assicurarvi che se arriverete alla traccia 6 senza barare, forse potremmo diventare amici.