Io lo dico subito, a costo di rovinarvi la sorpresa (come se non aveste già guardato l’anellino del voto qui sopra): con Loom, primo e attesissimo album dei Fear Of Men, ci troviamo di fronte ad un diamante grezzo. Dalle melodie, che ciondolano fra uno shoegaze soft e un beach pop nato su una spiaggia mai baciata dal sole ma semmai bagnata da una leggera, insistente pioggia, all’estetica degli artwork – basti vedere gli ormai numerosi 7” riuniti e ripubblicati l’anno scorso nella raccolta Early Fragments.
Indie pop malinconico, riflessivo ed intimista, che novità. Chitarre squillanti di tristezza compiaciuta, una delicata voce femminile che ricorda quella di Zooey Deschanel, sezione ritmica di accompagnamento, in secondo piano. Ancora niente di nuovo in teoria. Nella pratica la differenza i Fear Of Men la fanno eccome, ed è tutta una questione di stile. I testi, personali, schietti e denudanti la personalità dell’autore come poche volte, sono opera di Jessica Weiss, studentessa di arte e filosofia ma che tra i propri interessi fa rientrare le malattie mentali e i disturbi psicologici (il nome del gruppo è idea sua).

L’accoppiata Alta/Waterfall inaugura l’ascolto di Loom ed è subito amore: dopo un minuto scarso di tensione introduttiva per voce più flauto, esplode Waterfall senza mezze misure, animata anche da contrabbasso e violino. Improvviso rallentamento, “You will never leave me, As long as I tie with my bones, Trust in me completely, Show me there’s no world outside our own.” e ripartenza sostenuta dal suono jangly della chitarra e da una batteria decisa e incisiva per terminare con le distorsioni lamentose del violino.
Seer e Green Sea le avevamo già sentite quasi identiche in Early Fragments: la rimasterizzazione ha giovato, e la percezione è quella di un suono più pieno e capace di esaltare meglio non soltanto il ritmo della batteria ma anche i lavori di chitarra. A proposito della produzione, bisogna essere onesti: le registrazioni, ancora casalinghe o poco più, danno un forte feeling DIY e vintage al suono (come non aggiungere questo alla lista degli elementi che avrebbero fatto, qualche decennio fa, dei Fear Of Men una perfetta band da Sarah Records o compilation C86?); può piacere o far storcere il naso ma duole sentire annegare lentamente gli strumenti gli uni sugli altri. Ed è un peccato non sentire valorizzati a dovere gli archi di Tephra e America.
Pare che gran parte delle sessioni di registrazione siano avvenute di notte: difficile non crederci ascoltando sbocciare Luna nella voce incantevole e nel sogno melodico creato dai riff. Chiusura di album con le elementari strimpellate acustiche di Atla, ma alla fine la chitarra quasi ci si dimentica di ascoltarla, concentrandosi soltanto sulla linea vocale di Jessica Weiss, adorabile e quasi da fischiettare anche se dopo “Baby come home now, baby come before the light is gone ci dice chiaramente “You don’t disgust me anymore“. Atla è rigetto e anelito, odio e amore, in una parola sola indecisione.

Con quanto finora prodotto i Fear Of Men avevano fatto drizzare le orecchie di più di un ascoltatore, ma è davvero solo con Loom che ci si può finalmente confrontare con l’espressività artistica del gruppo, maturato tanto in fretta da lasciare stupiti. Non vorrei fare il gufo ma la band ha, in potenza, un futuro roseo dinnanzi a sé. Buona fortuna Fear Of Men, questo è soltanto l’inizio.

Tracce consigliate: Luna, Waterfall.