Il secondo album degli Esben And The Witch racchiude al suo interno alcuni dei momenti più oscuri e seducenti del revival wave degli ultimi tempi. Il sound dei tre ingesi stupisce per quanto riesce ad essere ammaliante e conturbante, a volte addirittura più nei passaggi chitarristici (Slow Wave, Despair) che non nei vocalizzi di Rachel Davies, che, pur eterea e sensuale come sempre, incespicando in alcune melodie oscure rischia di tediare (Shimmering, la già citata Despair, per motivi diametralmente opposti), facendosi comunque subito perdonare con amorevoli virate pop (Deathwaltz, non a caso il singolo).

Certo la formula musicale non aggiunge nulla a quanto non si sia già sentito in lungo e in largo negli ultimissimi anni (voce riverberatissima, chitarra riverberatissima in delay quasi perenne e drumming coinvolgente che si sposa con le sommesse linee di basso), ma è una formula che difficilmente fallisce e di sicuro non è questo il caso. Anche le atmosfere sono quasi sempre un goth-cliché, ma l’oscura magia sensuale e impalpabile che percorre Wash The Sin Not Only The Face è così avvolgente che ci si dimentica subito di ogni luogo comune.
Per spazzare via qualsiasi riserva si possa avere riguardo quest’album bastano addirittura i primi trenta secondi dell’opening track, Iceland Spar, che, pur restando sospesa, quasi come una bozza incompiuta, con il suo gioco di contrasti tra potenza arcana e calma suadente si trasforma nell’overture perfetta.

Pur superando i tre quarti d’ora con i sette minuti della cavalcata finale ai limiti dell’epicità, (Smashed To Pieces In The Still Of), il sophomore degli Esben And The Witch si lascia ascoltare con facilità e, anzi, conquista al primo ascolto grazie alle atmosfere crepuscolari che stregano dall’inizio alla fine.

Tracce consigliate: Iceland Spar, Deathwaltz.