Emma Hill è una ragazza un po’ in carne ma non troppo proveniente da uno di quei posti che la maggior parte dei tuoi amici immagina soltanto tipo l’Alaska.
Dell’Alaska si sa che è a nord e che è un posto freddo e che consequenzialmente non c’è motivo di visitarla a meno che, certo, uno non veda le cose da un altro punto di vista.

Emma Hill pubblica di recente il suo quarto album in studio che si chiama The Black and Wretched Blue che giuro è bello fino ad un certo punto.
La maggior parte degli arrangiamenti credo siano stati fatti seguendo come linea logico-costruttiva il prontuario degli accordi dato alla prima lezione di chitarra dall’insegnante consigliato dal migliore amico che ci aveva fatto il liceo assieme o, se preferite, il canzoniere alto due dita dove ci si possono trovare canzoni di successo internazionale come No Woman No Cry o You Give Love a Bad Name, che se suonate sotto al disco sembrano sempre un po’ diverse.

The Black and Wretched Blue è un disco di musica folk fatto con la chitarra acustica e la voce di lei in primo piano, bella, calda e suadente, ma senza la benché minima variazione dinamica da un pezzo all’altro, canta sempre uguale, e all’inizio ti piace, ma poi svieni per noia.
Tutt’attorno a lei e alla sua chitarra, dopo un paio di strofe entra, come se dopo la quarta volta non ce lo aspettassimo, la batteria, con uno di quegli attacchi che battono un paio di colpi annunciativi per poi cadere dritti per dritti sul quarto; con lei poi c’è anche qualche violino, qualche fiato, qualche banjo, uno che canta mentre suona una slide guitar, e basta direi.

Indicativamente è musica per sognatori semplici, intendo gente che ha come ispirazione di vita la casa in campagna con orto annesso.

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