elbow-take-of-landingEtichetta: Fiction Records
Anno: 2014

Simile a: 
Doves – Kingdom of Rust
I Am Kloot –
Let It All In
Peter Gabriel – Up

Guy Garvey, frontman ormai sulla soglia dei quaranta, decide che, dopo i consueti tre anni di silenzio, è l’ora di tornare in studio di registrazione e magari togliersi dalle palle definitivamente l’ingenerosa etichetta che i suoi Elbow hanno, sopratutto in patria: “la band di One Day Like This“.
Non è un periodo molto fortunato: il cantante ha infatti appena divorziato dalla sua compagna e, come molti altri artisti di tradizione britannica prima di lui, decide di andare a cercare l’ispirazione nella Grande Mela.
Intanto all’interno del gruppo è stato deciso di cambiare modo di lavorare: non più tutti in studio insieme, ma separati. Ognuno con la propria storia: tra divorzi, matrimoni, funerali, fiocchi rosa e blu “In questi tre anni ai membri della band ne son successe di tutte” dice lo stesso Guy in un’intervista.
Per questo il titolo non poteva essere più eloquente: The Take Off and Landing of Everything (sticazzi).
Come è consuetudine, infatti, gli Elbow ci raccontano spaccati di vita vissuta, attingendo appunto dalle loro esperienze e raccontando le proprie emozioni. Maestro in questo Mr. Garvey, che riesce a trasformare il tutto in parole, con una qualità di scrittura sicuramente superiore alla media.
Già la copertina, con una certa estetica prog, ci dà qualche suggerimento sulle influenze sonore del disco e se è vero che due indizi fanno una prova, pare che la band abbia registrato parte del lavoro nei Real World Studios, il cui proprietario è Sir Peter Gabriel, paradigma assoluto della band.
Nel disco, appunto, sono forti le contaminazioni del prog britannico ed infatti sono proprio gli Elbow stessi a definirsi “prog without the solos”.
Influenze che appaiono evidenti nella batteria e nella chitarra del primo estratto Fly Boy Blue/ Lunette, doppio pezzo in cui la band esprime tutto il proprio potenziale: prima parte contraddistinta da fiati free jazz, riff scricchiolanti e voce carica di effetto che  ricorda vagamente 21st Century Schizoid Man, poi una seconda parte invece più melodica e pulita, il tutto arricchito da una lirica in cui Garvey si supera: “Mother forgive me, I still want a bottle of good Irish whiskey/ And a bundle of smokes in my grave”  è di un’amarezza disarmante.
Troviamo poi altri episodi assolutamente riusciti: Charge ha un ritmo sensuale con un organo ritagliato sullo sfondo ed archi da brividi che partono a metà canzone, mentre nella suggestiva My Sad Captains si cambia totalmente storia: l’atmosfera è malinconica, battiti di mani e trombe scandiscono il ritmo e un coro caldo accompagna la voce di Guy.
L’unica canzone dedicata alla metropoli americana, New York Moring, è probabilmente la peggiore del lotto, canzonetta pop davvero stucchevole e banale, fatta probabilmente pensando al lato commerciale, ma francamente poco riuscita.
Purtroppo per chi si aspettava un disco prog-rock questo sarà verosimilmente una delusione, ma frutto di aspettative irrealistiche: gli Elbow fanno pop-rock, certo, molto carico e con diverse influenze, ma questo sanno fare e difficilmente si discosteranno dalla solita formula. Però se non altro la loro musica ha una personalità ed una raffinatezza difficilmente confondibile.
Per questo possiamo rassicurare Garvey: quell’etichetta ve la siete già abbondantemente scrollata di dosso.

Tracce consigliate: Fly Boy Blue/ LunetteMy Sad Captains