È vero che non dovremmo essere derivativi quando si parla di un side project, nonostante il termine stesso lo suggerisca; dovremmo dimenticarci di tutto quel che c’è di contorno e lasciar parlare i contenuti, come vorrebbe una fetta di critica letteraria. Però è pur vero che quando si parla della voce più profonda della East Coast è impossibile prescindere dai lavori targati The National, tanto che nel dibattito effettivo la mente dietro a Menomena e Ramona Falls viene inevitabilmente (e ingiustamente) messa in secondo piano.

La riuscita del progetto EL VY si aggrappava a questa variabile, e va riconosciuta a Matt Berninger e Brent Knopf la capacità di superare l’ostacolo egregiamente, producendo un’opera variegata, ricercata e sfacciata, nella quale le basi artistiche dei due si fanno sentire ma mai abbastanza da diventare – appunto – mera derivazione.

A farci dimenticare momentaneamente chi abbiamo di fronte è proprio l’attacco di Return to the Moon (Political Song for Didi Bloome to Sing, with Crescendo), che ha una melodia tanto ammiccante quanto differente dalla melancolia che la voce di Berninger si porta dietro, e che serve ad introdurre la forte componente funky che ritroveremo spesso nel disco, soprattutto nella prima parte: ad accompagnare il cantato à la Queens of the Stone Age di I’m the Man to Be come sui synth di Need a Friend. Gli EL VY sono furbi e irriverenti nella prima parte – quella dei singoloni, per intenderci – e più sommessi nella seconda, che inizia con la ballad No Time to Crank the Sun, in netto contrasto con l’americanità e gli accenni jazz di Silent Ivy Hotel.

Nonostante il contrasto rubi continuità al disco, Return to the Moon non manca di sorprendere anche nei momenti più minimalistici: No Time to Crank the Sun a qualcuno ricorderà i National, ma lo fa nel ritmo più che nell’arrangiamento, che invece è frutto delle esplorazioni stilistiche di Knopf, che si fanno risentire spesso e volentieri anche in modo più imprevedibile (Sad Case); It’s a Game ha un ritornello corale che sarà stilisticamente conservatore ma resta elegante (“I’d never been so alone, till I read that the Minutemen were dead” – ai quali, tra l’altro, è dedicato il disco); e mentre Sleeping Light è quasi dimenticabile, a chiudere il disco è la bella quanto antinomica combo di Happiness, Missouri e Careless.

L’incrocio tra la scrittura di Berninger e la mano creativa di Knopf è una varietà non sempre estremamente coerente di elementi che, rimontati insieme, hanno il sapore di un sigaro fumato in un hotel decadente con la moquette impolverata, magari sul set di un film dei fraelli Coen, bravi anche loro a ritrarre storie drammatiche con la leggerezza con cui riescono a farlo gli EL VY con Return to the Moon.
Chissà cosa ne sarà di questo progetto tra qualche mese; forse, come molti side project, sarà accantonato per dare la precedenza a quel che c’era prima, però sarebbe un peccato: Knopf e Berninger ci hanno dato un assaggio di creatività autonoma, riuscendo ad uscire fuori dalla loro comfort zone, e sarebbe interessante scoprire dove porterebbero approdare in futuro.

Tracce consigliate: Silent Ivy Hotel, No Time to Crank the Sun