Avete presente i Dutch Uncles? Sono una band piuttosto figa, sono in cinque, vengono da Manchester, e visto che erano tutti dediti tanto agli Smiths quanto ai King Crimson, hanno pensato bene di fondere le due ultra-eterogenee influenze. L’idea è parecchio interessante: un cantato molto indi-regular inserito su tempi complessi e irregolari. Dopo aver pubblicato il loro esordio, l’omonimo Dutch Uncles per l’etichetta tedesca Tapete Records sono passati alla Memphis Industries, e, dopo la pubblicazione di Cadenza, eccoci al loro terzo lavoro, questo Out Of Touch In The Wild.

Partiamo con l’ascolto: l’album si apre con Pondage, che, dopo un breve episodio di pianoforte e voce soli ci guida attraverso un geniale passaggio di chitarra che lascia intuire l’influenza dei Talkin Heads, fino all’arrivo della ritmica, come al solito tanto sudata e irregolare quanto interessante. Poi arriva Belio, che, ripresa l’atmosfera lasciata sospesa dal brano precedente, esplode in un giro di basso potente e deciso, che media perfettamente la presenza atipica della batteria. Qualche synth, cori, ottimi giochi di dinamica e arrangiamento e arriviamo a Fester, primo singolo estratto dall’album, il cui video era già da Novembre disponibile online. Vibrafono, basso e la voce di sempre, finchè non fanno il loro ingresso gli archi ad arricchire la già di per se complessa atmosfera del brano: l’avrete già ascoltato perché siete tutti bravi indi, puntuali e aggiornati -ma se per caso non l’aveste ancora fatto rimediate, subito. Dopo il picco sonoro e di ispirazione regalatoci dal primo singolo Fester, arriva Goodboy, un pezzo onesto e divertente, per il quale come al solito, mi sento di fare i miei complimenti ai Dutch Uncles per arrangiamenti, dinamiche e composizioni. Certo, se vi sta sul cazzo da matti il prog, siete amanti dei quattro quarti, andate alle jam sessions e urlate “one mooore tiimeeeee” pieni di birra quest’album non fa per voi. Se però un po’ di complessità non vi fa schifo e avete due belle orecchie funzionanti, non potrete far a meno di convenire già a metà ascolto, che quest’album funziona da dio.

Il pezzo successivo Threads è meno funkeggiante, più scuro e claustrofobico (molto debitrice alle atmosfere di Lark’s Tongues In Aspic), e ancora una volta è arrangiato proprio bene. A questo punto ascoltiamo Flexxin, secondo singolo del disco in free download sul sito della band: molto più solare del precedente Threads, Flexxin ci riporta alle influenze dei Talkin Heads, che, rielaborate a dovere, vanno ad arricchire un pezzo che funziona benissimo. Con altre quattro tracce (fra le quali la bellissima closing Brio) per le quali potremmo fare commenti analoghi, l’album si conclude senza sorprese: un album divertente, ispirato, veloce e molto ben arrangiato.

Dopo un ascolto disattento l’obiezione più ovvia che si potrebbe muovere a questo lavoro è quella di peccare di originalità, e riproporre, in salse diverse, un mood sempre uguale a se stesso; se però riterrete che quest’album valga un secondo ascolto, vi accorgerete che le variazioni di mood (ovviamente parlando all’interno dei limiti imposti dallo stile dei Dutch Uncles) ci sono eccome, e che questo lavoro risulta tutt’altro che monotono, ma personale e molto ben gestito. Se davanti alla fatidica questione “devi andare su un’isola deserta e puoi portarti un disco solo..” di sicuro la scelta di nessuno ricadrebbe su questo Out Of Touch In The Wild, tuttavia penso possa trovare un degno posto nel panorama attuale, e confermare i Dutch Uncles come un progetto originale, da tenere sott’occhio. Bravi zii.

Tracce consigliate: Fester , Flexxin.