Polvere totale. Certo. La polvere appare magicamente un paio di giorni dopo che hai lavato le cose, sulle cose che hai lavato. Certo. Per arrivare a dire “polvere totale” appare chiaro che hai lavato poco negli ultimi giorni. Certo. E quando il nome che avevi ironicamente dato a camera tua alla tenera età di sette anni diventa il titolo di un celeberrimo album di successo, a beh, non può essere altro che la conferma che noi tutti stiamo agendo nel giusto. Diciamocelo. Quand’è stata l’ultima volta che avete lavato camera vostra?

Uhm, vabè, poco importa, il fatto evidente è che i Dusted, duo canadese al loro esordio discografico, la polvere ce l’hanno anche nelle orecchie. Da intendere in senso puramente scenografico.
Non si spiegherebbe se no la loro totale adulazione del “sentir male”, dei fischi, delle chitarre sature, dei fruscii di sottofondo, di tutto quel che.
Il disco è carino, anche se ammetto di aver fatto intendere il contrario, almeno a tratti, di per sé semplicissimo, chitarra e voce e basta, s’intravede solo qualche incursione di archi ogni tanto, una drum machine, e tamburelli da poveri.
Tutto questo mischiato assieme come fosse polvere appunto, la chitarra esce male (LO FI), la voce a tratti lontana, ma poi torna correndo, eccetera eccetera, in un risultato finale tipico di qualche garage brittannico. Le canzoni sono sempre quelle, non immaginatevi cose che non so; orecchiabili, piacevoli all’ascolto, tranne che per quella costante propensione al falsetto che ogni tanto non sopporto. Per il resto è ok.