Che gli anni 80 non siano mai finiti, in questo duemilaecredici ci avevano già pensato i Daft Punk a ricordarcelo, e se non fosse bastato l’hanno ribadito anche gli Arcade Fire. Ma in mezzo a questi due mostri sacri sono passati pure i Delorean, band spagnola (o forse sarebbe meglio dire basca, visti i tempi che corrono) che dal 2010 gode di un notevole successo. E chi più di loro, con quel nome che rimanda inevitabilmente alla macchina del tempo più famosa del cinema, poteva portarci a spasso tra le decadi?

Apar è il titolo del loro ultimo album, una parola basca che può essere tradotta con schiuma; onestamente un titolo che non dice molto del loro lavoro. E fidatevi che per trovare un significato a questo parola ho dovuto sfruttare svariate conoscenze in terra iberica; ora capite la delusione nello scoprire che voleva dire semplicemente schiuma? Ma in fin dei conti, è anche giusto così.

Rispetto al precedente Subiza, si coglie subito quanto la band abbia intrapreso un percorso di maturazione, abbandonando un po’ quelle melodie giocose e un po’ più indie che ci avevano fatto ballare su Real Love; e lo si intuisce subito dalla traccia che apre il disco, Spirit che col suo lunghissimo intro di tastiera e batteria sembra darci il benvenuto (e quasi pare citare un classico come Baba O’Riley, non ce ne vogliano i fan dei The Who per il paragone piuttosto profano).

La hit del disco è la #2, Destitute Time, canzone molto orecchiabile e commerciale al punto giusto, in cui gli 80’s esplodono in tutta la loro forza con cori femminili e una cassa dritta che sarà una costante di questo album. L’album va avanti con le tracce e mentre sei convinto di essere ancora sulla numero due, ti rendi conto che sei già alla fine del primo minuto di Dominion: io capisco che le ore di solfeggio al pianoforte da bambini possano avere traumatizzato svariate generazioni di musicisti, ma non ce n’era davvero bisogno di creare questo tunnel infinito tra canzoni con la stessa identica melodia martellante.

Le cose sembrano cambiare con Unhold in cui finalmente prevale l’elemento vocale (anche se di naturale in questa voce sembra esserci ben poco), ma dura poco perché con You Know It’s Right tornano i motivetti alla Miami Vice a farla da padrone; ma nonostante tutto, probabilmente quest’ultima è la canzone più riuscita tra le 10 di Apar, una canzone ben strutturata, completa, in cui tutti gli elementi vocali, ritmici e melodici si incastrano bene. Nel resto dell’album spuntano una piacevole Walk High, una cupa Your Face e la malinconicissima traccia di chiusura Still You.

Non avendo vissuto gli anni 80, ascoltando Apar mi son fatto una mezza idea di cosa possa aver voluto dire uscire una sera in una discoteca o in un qualsiasi locale che sparasse solo musica dance e devo dire che onestamente mi ha stordito. Poi penso che la mia è la generazione dei rave…

Nel complesso i Delorean hanno davvero cercato di maturare e di uscire dall’etichetta di semplice indie-band, e qualche progresso non si può negare loro. D’altro canto se l’unica proposta che fai è un ripescaggio nostalgico di musica che andava fortissimo 30 anni fa e che adesso trovi a vendere solo nei Best of agli Autogrill, forse non sei proprio destinato a fare la storia, ed il tuo album non sarà di certo tra quelli che ci faranno ricordare il 2k13 musicale. Ma a dirla tutta, è anche eccessivo chiedere ad un gruppo come loro di sfornarci l’album dell’anno.

Tracce consigliate: Destitute Time