Nasci a Berlino, ti trasferisci in America giovanissimo e cresci lì.
Da bimbo immergi i piedi nel Kannebunk River, da ragazzo abbordi le pischelle sulla Freedom Trail a Boston e dopo aver vissuto nelle città più belle dell’est decidi di stabilirti a  Providence nel Rhode Island perché ti piace il trambusto, ma fino ad un certo punto.
Sei un cantautore ed ovviamente ti leghi al passato illustre che l’America riesce a vantare, ma hai una voce pura, trasparente e un’estensione vocale che ti fa sembrare Farinelli nella terra dei baritoni.
Non è una storia inventata, il ragazzo in questione si chiama Joel Thibodeau, con gli strumentisti al seguito si fa chiamare Death Vessel, e questa premessa potrebbe sembrare una sorta di disgrazia in miniatura dato che il folk (da non confondere con la scena indie-folk che invece prolifera) negli States è lì e non si tocca.

Joel tira fuori due album ispirati ma non abbastanza, Stay Close (2005) e Nothing Is Precious Enough For Us (2008), che di fatto racimolano stralci menestrelliani del buon Dylan, a tratti chitarre sature alla Young e un po’ di bluegrass d’altri tempi.
Questi due lavori bastano però al nostro buon vascello della morte per guadagnarsi la stima di gruppi come Iron & Wine, Low e del buon Jónsi che, come prevedibile, all’ascolto di una voce cristallina come la sua ha esclamato “IOLAO! Perché non collaboriamo?”.

Sembra che proprio quì arrivi il punto di svolta, Island Intervals potrebbe virare le sorti di un cantautore rimasto abbastanza anonimo nel corso degli anni e (c’è da dirlo) il merito è in buona parte del leader dei Sigur Rós.
Le sonorità complessive hanno molto in comune con quelle provenienti dall’estremo nord dell’Europa, voci doppiate e reversate (Ejecta), vocalizzi e armonizzazioni come non ci fosse un domani (Triangulated Heart), ambienti (Mercury Dime), parti strumentali che sembrano avvicinarsi al post-rock attuale (Velvet Antlers, Island Vapors, Loom) e insomma tutto quello che serve per sembrare Islandesi, compreso un duetto (da pelle d’oca) con il sempre presente Jónsi.

Concludendo è un album piacevole da ascoltare e apprezziamo che Thibodeau voglia saltare da un continente all’altro, che voglia trasformarsi, anche se ribadiamo che non crediamo sia stata una metamorfosi scaturita solo dalla sua personalità.

Tracce consigliate: Ejecta