Sapete qual è la canzone che tutte ma proprio tutte le ragazze indie un po’ malinconiche ma con tanta cultura musicale postano quando soffrono le pene d’amore? Questa. Se vi ritrovate nella categoria, molto vasta tra l’altro, non prendetevela per l’ironia, qui per l’appunto si scherza, certamente.
Quello che, sarcasmo a parte, intendo dire è che i cari Death Cab for Cutie hanno negli anni raggiunto una popolarità mica male, il cui picco è stato il duo di album Transatlanticism & Plans. Dal 2011, anno del discusso Codes & Keys, ad oggi c’è stato invece davvero poco di cui parlare sul gruppo; al massimo si è visto del basso gossip sulla coppietta più twee del mondo della musica ovverosia quella composta dal fondatore, voce e chitarra Ben Gibbard e miss Zooey Deschanel: talmente twee che proprio in quel periodo divorziavano causa inconciliabili differenze. Ah!
Nota a parte, la popolarità di I Will Follow… presso il dolcemente complicato pubblico perlopiù femminile invece non subisce cali.

Kintsugi in giapponese è l’arte di riparare gli oggetti in ceramica rotti usando “collanti” mischiati a polvere d’oro; credo abbiate capito tutti cosa intendo in quanto questa pratica dilaga, banalizzata, nei link su Facebook. Il titolo viene accompagnato dalla copertina: un violento glitch a zig zag che tutto deforma, rendendo irriconoscibile il soggetto che, da quel poco che si può capire, sembra una foto di gruppo in bianco e nero.
Presentata prima dal vivo e poi nella versione definitiva in studio, ad introdurre gli ascoltatori a Kintsugi è il singolo Black Sun.
La accompagna un video piuttosto atipico per i canoni del genere: palette di colori torrida, una muscle car opaca come protagonista (Dodge Challenger?) che oscura l’altra protagonista femminile, una bionda di poche parole. Musicalmente è piuttosto ripetitiva ma senza che sia un vero difetto: la sezione ritmica è sempre lì a stendere un tappeto polveroso, cantato e chitarra accompagnano senza troppo clamore fino ad un breve momento di sfogo della sei corde. Black Sun non è certo simile ai DCFC standard ma non per questo è brutta.
Secondo singolo tratto e opener dell’album è No Room in Frame: il lyric video, unico finora disponibile è veramente brutto, la canzone fa il paio. Non c’è qui il discreto charme di Black Sun; abbiamo per le mani una canzoncina allegra nella musica, tristolina nelle parole senza arte nè parte, buona forse forse per finire in una compilation di canzoni da ascoltare per un viaggio lungo ma occhio ai colpi di sonno. A livello testuale non ci siamo: “How can I stay in the sun when the rain flows all through my veins?“, capisco benissimo che sia una metafora ma diciamo che, per usare un eufemismo, ne ho lette di leggermente migliori.
Purtroppo anche il terzo singolo segue questa scia: The Ghosts of Beverly Drive ammicca rockeggiando più di prima ma non solo non graffia, ma lascia irritazione e fastidio. Inverte per fortuna la tendenza Little Wanderer, che si ricorda che una volta i Death Cab si avvicinavano (sempre da debita distanza) all’indiemo romantico. Le coordinate sono quelle, non si può parlare di ispirazione divina ma almeno il livello è decisamene superiore a quanto appena sentito.
Su undici tracce, quattro sono già state lanciate come singoli e sono presumibilmente le tracce forti, pensate un po’: Hold No Guns è un dignitoso tuffo nel passato, una ballata minima con chitarra appena pizzicata e grosso del lavoro svolto dalla voce. Dopo la terribile Good Help arriva il trittico finale: El Dorado recupera le atmosfere di Black Sun con meno successo e meno profondità, Ingénue e Binary Sea si lasciano ascoltare senza troppo emozionare e scivolano via, conclusione assolutamente degna di un lavoro di basso livello.
Spicca invece, e per onestà va riportato, You’ve Haunted Me for All My Life: e come per Hold No Guns vengono rispolverate le cose migliori del passato, il trillo laconico della chitarra, una ritmica appena accennata, un imponente sovraccarico di malinconia, tutto ovviamente dedicato o almeno ispirato ad una donna (forse… ancora tu? Ma non dovevamo vederci più?)

Non che, a mio avviso, i Death Cab for Cutie siano mai stati un gruppo superlativo, ma questo è probabilmente il punto più basso della loro carriera: manca un’idea di fondo che regga davvero a livello musicale e quindi mancano le ispirazioni corrette per scrivere bene. Kintsugi sì ma qui i cocci son rotti e basta. Che occasione sprecata, Ben & co.

Traccia consigliata: Little Wanderer.