Se un anno fa avessi avuto un euro da scommettere, avrei senza dubbio deciso di puntarlo sul ritorno del Messia Nostro Signore Gesù piuttosto che sul ritorno del Duca Bianco, aka David Bowie.

Oggi, un anno dopo, sarei felicissimo di aver perso quella scommessa.
David è tornato. Già. Incredibile, vero?
Tutto è cominciato l’8 gennaio di quest’anno, giorno del sessantaseiesimo compleanno della rockstar, registrata all’anagrafe come David Robert Jones.
In quel lontano giorno di gennaio, la fresca mattinata viene sconvolta da un annuncio bomba, pubblicato sul sito ufficiale dell’artista: “Bowie rilascerà a marzo un nuovo album, intitolato The Next Day, e oggi vi regala un’anteprima, Where are we now?, primo estratto dal disco accompagnato da un video ufficiale”. BAM.
Da lì, l’attesa è diventata spasmodica, non bastavano mai le notizie riguardanti l’album e un ipotetico tour, di cui tutt’oggi, ahinoi, non si sa praticamente nulla.
Nel frattempo, viene pubblicato un altro video, quello della canzone The Stars (Are Out Tonight).
Quindi, ci siamo finalmente ritrovati tra le mani questo disco, intitolato appunto The Next Day, con una copertina, molto discussa e particolare, che riprende chiaramente quella di un altro album, “Heroes”.
Quattordici tracce e circa 55 minuti di musica eccelsa racchiudono l’essenza di un Bowie genuino e sincero come poche volte, che ci parla col cuore in mano, senza pretese. E lo fa con la sua solita voce tonante ma delicata, morbida ma sicura, carica e irresistibile.
Capiamo subito di trovarci di fronte ad un disco che starebbe molto più a suo agio catalogato insieme alla trilogia The Man Who Sold The World / Hunky Dory / The rise and fall of Ziggy Stardust and the Spiders From Mars che alla trilogia per antonomasia, quella berlinese; ma questo, in realtà, ce lo aspettavamo un po’ tutti. È un disco lirico, dai testi toccanti, composti con parole scelte minuziosamente e per nulla a caso.
È un disco scritto da un Bowie seduto a tavolino a meditare, a tirare le sorti di un’esistenza divina, che si avvia al tramonto; è forse un disco scritto più da David che da Bowie. È David Robert Jones che passa in rassegna la sua vita, fa scorrere davanti ai suoi occhi diapositive di Bowie, di Ziggy Stardust, di Halloween Jack, immagina un Duca Bianco per le vie di Londra, un Maggiore Tom nello spazio e un alieno caduto sulla Terra, un anonimo e solitario berlinese.
E si chiede cosa gli sia rimasto, cosa ci sia rimasto di lui, di loro, si chiede dove siamo adesso.
Si tratta di un Bowie disperato, morboso, intimo, personale, a tratti addirittura umile; si presenta a noi così lucidamente nella totalità della sua persona da far scivolare nel non senso più totale qualsiasi disquisizione tecnica e strutturale relativa all’album: Bowie ci spalanca le porte del suo cuore, vuole renderci partecipi del suo ultimo esame di coscienza, complici della sua resa dei conti.
A noi non può restare altro che seguirlo, farci guidare dalla sua sapiente mente e spremere, spolpare i meandri della sua grandezza: è un’occasione che non ci capiterà mai più.

As long as there’s sun
As long as there’s rain
As long as there’s you, David.

Tracce consigliates: Where Are We Now?I’D Rather Be High, You Feel So Lonely You Could Die