Damon Albarn lo conoscete tutti per essersi prima leccato il ciuffo biondo davanti alle ragazzine inglesi di primi anni ‘90 e poi per essere diventato un cartone animato.
Beh, oggi l’unico modo per farselo venire in mente è cantando la canzoncina che lo cita in prima persona: “Robin Hood, Little John e Damon Albarn van per la foresta/ Ed ognun con l’altro ride e scherza come vuol/ Son felici del successo delle loro gesta/ Urca urca pirulero oggi splende il sol…”.
Sì, come sicuramente avrete immaginato il nome “Damon Albarn” è stato aggiunto di recente alla canzoncina sopracitata, oltretutto fottendosene della metrica, che è ora andata inesorabilmente a puttane. Lo posso dire puttane? Si?
Ma un torto del genere ad una canzoncina tanto carina non lo si fa per ridere. No, proprio no. Anche perché non si riesce a cantare.
Si fa un torto del genere per denunciare un fatto: Damon Albarn è impazzito completamente, cadendo dalle scale, forse, sbattendo la testa, rotolando sul mento, forse, scrivendo un diario quotidianamente.
Forse domani scriverà un romanzo ma oggi ha scritto un’opera o meglio, una misera operetta di stampo elisabettiano interamente ispirata alla vita di John Dee, matematico astrologo e “mago” alla corte della regina d’Inghilterra, che avreste potuto vedere per intero al Palace Theatre di Manchester nel corso del mese di Luglio del passato 2k11.
E dal 7 maggio è disponibile il cd, “Dr Dee”, un 18 tracce che mancolicani.
Cerchiamo di rendere chiara la cosa: questo non è un disco di Damon Albarn, o meglio non di quello che tutti conosciamo, è fuori di sé, balla coi giullari, gioca a fare il medievale, cita Shakespeare, dice che con John Dee condivide emozioni, pensieri, e io davvero non so.
“Dr Dee” si apre coi suoni della foresta (che vi dicevo io?), che poi diventano organi e organetti, poi archi, e mi ricordo che fino a qui mi piaceva, poi tutto diventa Apple Carts un pezzo chitarra e voce con qualche incursione filarmonica e un simpatico coretto finale e così via fino a The Marvelous Dream; il singolo dell’album si può dire, un pezzo onesto, sempre caratterizzato da chitarra ,voce, più qualche strumento medievale un po’ a caso e i soliti simpatici coretti, e fin qui tutto bene.
Poi, ecco, a questo punto, Albarn si scorda cosa stava facendo, comincia Edward Kelley che è uno che canta in falsetto così allegro che davvero non me lo spiego, poi i cori più pomposi e porca vacca che davvero non me li spiego uguale, poi il filo che si perde definitivamente che ti fa pensare che Albarn si sia messo lì a tirare i dadi per scegliere l’ordine dei pezzi, poi dici no non può essere, poi The Dancing King che almeno è corta e nuovamente i suoni della foresta che ti fanno capire da dove tutto è iniziato.
Dalla foresta già, quella dove Robin Hood e Little John si divertivano, e Albarn appresso a loro a inseguirli col mandolino. Altri tempi, altre favelle, finisce il disco e non arrivo a capire il messaggio. Cosa vuoi dirci Albarn? Da dove vieni? Come cazzo ti è venuto in mente? Lo posso dire cazzo? Si?