Un duo consapevole, stravagante, in grado di sollecitare qualsiasi tipo di orecchio al primo ascolto. Singoli sempre tesi, elettrizzanti; strofe intelligenti, giochi di parole. La voce di California un proiettile (ah, quando subentra in Anima Lattina!, avrebbe detto Maurizio Mosca), Fausto Lama un giocoliere, muove le parole con maestria e ironia.

Tutto questo due anni fa. Purtroppo, a malincuore: accadeva solo due anni fa. Ora è arrivato il primo album dei Coma_Cose, e il profilo sembra cambiato.

Un album è tanti elementi insieme da saper maneggiare; dinamiche diverse, per le quali diventa fondamentale far passare un legante, un filo che tiene coeso l’insieme. Ecco, questo in Hype aura accade, ma è un filo troppo debole, prevedibile, innocuo.

Il gioco di parole del titolo, che suona “hai paura“, lega proprio le parole hype e paura, quasi un sintomo del problema al quale i Coma_Cose sapevano di andare incontro. L’ansia di confermarsi, di rendere la propria idea di musica un lavoro compatto e definitivo: fare un disco, quindi, che avrebbe affermato il duo come era stato accolto, ossia come una voce fuori dal coro del panorama musicale italiano, per suono, per intelligenza, per stile.

E forse questo è uno status che Fausto e California mantengono: una certa unicità sotto tutti questi aspetti. Ma è una unicità che non va oltre a dove era arrivata. Hype aura è un album lineare, dall’encefalogramma piuttosto piatto, nel senso che non offre stimoli particolarmente spiccati. Il suo ascolto sequenziale non narra niente di specifico, perché troppe caratteristiche del duo indeboliscono ogni senso profondo e compiuto del tutto. Prendiamo un esempio: va bene, i giochi di parole ricercatissimi sono la cifra dei Coma_Cose; e sono tra i motivi per cui si sono fatti amare. Ma che accade se ogni brano di un album, compreso il titolo, è tempestato dello sforzo di cercare accostamenti particolari, spesso fini a se stessi, di parole? Accade che tutto il lavoro si mette a forza in una gabbia. Come per un millennio la poesia è stata costretta dentro le gabbie degli schemi metrici, i Coma_Cose fanno così col senso delle loro canzoni; indeboliscono ogni filo logico, di sostanza, per arricchire invece l’ornamento, il contorno.

Ed è così che il tema profondo dell’album passa in sordina. Le paure, i timori della crescita artistica, personale, emotiva che cantano lungo le nove tracce subiscono costanti inversioni di poetica, brusche battute d’arresto, cali improvvisi di tensione – tutto questo perché la “maniera” dei Coma_Cose si fa troppo palese, ingombrante; la cifra stilistica, i “tecnicismi” che dovevano essere assorbiti dalle trame del disco, rimangono invece un esoscheletro troppo visibile, che copre la “carne” dell’album.

Ne risulta che ascoltato con la riproduzione casuale, Hype aura, non cambia di molto se invece viene ascoltato come andrebbe: in sequenza. Ma ciò che stranisce, e delude, è il fatto che di tutto questo, il duo ne pare pienamente consapevole: la traccia Intro è posta in coda al disco, tanto per dirne una. Ma poi, dettagli meno palesi e più profondi, stanno nella struttura stessa del disco, ovvero in una mancata disposizione strategica dei brani, svista che amplifica la già citata piattezza finale del lavoro. I brani sono molto simili, non hanno particolari raccordi tra loro, nemmeno diversi stati emotivi da esaltare. Sono più singoli, che tasselli di un organismo più grande.

Hype paura è senza dubbio il disco dei Coma_Cose, ma il problema è proprio qui: che l’album ricalca ed enfatizza l’opera del duo finora creata. Certo, non si sta dicendo che con il disco California e Fausto dovevano stravolgersi: anzi, la loro forza è stata fin da subito nel saper – più che innovare – mischiare, ridefinire le carte in gioco. Generi, riferimenti, citazioni: la mescolanza che i due fanno di questi elementi, dentro il suono dei Mamakass, ecco, resta sempre valida e bellissima da ascoltare. Ma valutato nell’insieme dell’album, il programma dei Coma_Cose non è riuscito a raggiungere quel passo in più al quale era chiamato: declinare l’idea di musica dentro la dinamica orizzontale di un disco.

Hype aura resta puntuale, ovvero un contenuto fatto di punti, il cui legante risulta poco efficiente. Per questo, ad oggi, vien da dire che la pubblicazione migliore dei Coma_Cose resta Inverno ticinese, ep che ha lanciato il duo e grazie al quale, da due anni, viene acclamato nei club di tutta Italia. Hype aura è fatto della stessa pasta di quell’ep. Non aggiunge quel che doveva subentrare, ovvero il peso specifico proprio di un disco, soprattutto se di esordio: lavorare su nuovi fronti, dare per assodati e ormai sintetizzati le acquisizioni artistiche, i punti di forza elaborati nel tempo.

Ecco, nel loro debut – che arriva due anni dopo la loro esplosione – i Coma_Cose invece sembrano fermarsi nella zona di conforto che, molto bene, sono stati in grado di creare. Hype aura si ferma dove i Coma_Cose erano già arrivati: nel creare singoli belli e stimolanti, fatti di una identità specifica e riconoscibile, di testi dalla lingua elaboratissima e produzioni, dei Mamakass, interessantissime. Ma il loro primo album, purtroppo, non si getta oltre questa acquisizione già ottenuta.

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