a0519721235_10Etichetta: Hardly Art
Anno: 2015
Simile a:
Cherry Glazerr – Haxel Princess 
Hunters – Hands on Fire
The Coathangers – Suck My Shirt

Magari voi non la conoscete, magari non l’avete mai ascoltata, vi professerete totalmente disinteressati a riguardo e poi capiterete per sbaglio in una sua canzone e rimarrete risucchiati nel tunnel Colleen Green com’è capitato a me: grazie a lei ho ritrovato la mia adolescenza ma meglio, tipo senza l’acne.
Colleen Green è una musicista (un po’ gattina e un po’ strafatta) dalla soleggiata L.A. con un progetto fichissimo: una specie “pink” stoner punk davvero sexy, pure un po’ garage, una sorta di Jay Reatard (sempre nei miei pensieri) in gonnella che ha iniziato con solo una chitarra, una drum machine e tante belle emozioni.
Colleen Green è la donna che mi ha fatto capire che devo abbracciare le strane e complesse emozioni che provo per le ragazze diventando la mia “girl crush” numero 1… al momento.
Se dovete avere “ideali femminili” ai quali aspirare: Colleen Green è la risposta! Perché nonostante sia probabilmente a sua volta scivolata in qualche film anni ’80/’90 dove Lindsay Lohan o le gemelle Olsen suonavano in gruppi finti punk di ragazze arrabbiate/mestruate (ma proprio finti come le tette della Anderson per capirci), Colleen ne è comunque uscita e ha fatto un progetto che evoca gli anni Novanta migliori. Oltre a quanto detto fin ora ad aumentare le sue incredibili qualità c’è il fatto che possiede un posto “Full House House” dove organizza live: questo posto è in realtà è il suo salotto, dai ditemi che volete di più!?!?

I Want to Grow up è il suo ultimo album: arrivata ai 30 la Green si addentra in campi più emotivi e “profondi” rispetto a quelli toccati con il suo Sock It to Me di solo due anni precedente a questo lavoro.
I 30 devono essere tosti per un’apparentemente inguaribile teenager: lo stress aumenta, la speranza nel “vero amore” comincia a vacillare, ma non viene totalmente sconfitta dal subbuglio emotivo provocato dell’entrare nell’età adulta.
Tra i tasti dolenti toccati in questo album non mancano l’ansia provocata dai nuovi obblighi che le alitano sul collo, il tentativo di scappare da limiti auto-imposti comparsi magicamente allo scoccare della lancetta dei 30, il tutto però meravigliosamente presentato senza peli sulla lingua e pochi accordi di chitarra (che però non fanno sentire la mancanza di “note” in più).
Al suo fianco hanno lavorato Jake Orrall dei JEFF the Brotherhood’s e Casey Weissbuch dei Diarrhea Planet’s.

Il primo pezzo I Want to Grow Up sarebbe di per sé sufficiente a comprare l’album: un giro di chitarra forse già sentito al quale si aggiungono però la sexy voce della Green, un accompagnamento alla batteria arrogante che ti entra nel cervello e ci rimane, ed un testo che si potrebbe elevare a mantra: “I Want to grow up, I really do. Because I’m sick of being an immature, I wanna be responsible. I’m so sick of being an insecure, I wanna be more comfortable”: è il genere di cose che in molti hanno pensato almeno una volta nella vita, ma che messo in musica “suona meglio, meno vittimista/patetico.
Deeper Than Love
è il pezzo più brutalmente onesto, schifosamente diretto, incredibilmente accattivante dell’album: un basso super post-prodotto, un ritorno alla drum machine dal ritmo ipnotico per non dimenticare l’altrettanto magnetica parte alla chitarra. In questo brano la Green tocca il tanto dolente dell’amore: “Will I find a love that will last as long as my life? […] Nowadays commitment seems like a burden to carry, I don’t wanna think about it, it’s too scary”, un’onestà quasi dolorosa accompagnata dai freddi rumori elettronici della canzone. La Green ammette il suo disperato bisogno d’amore, aggiungendo allo stesso tempo che l’unico modo per far sì che le frecce di Cupido abbiano effetto su di lei sarebbe quello di farsi aprire chirurgicamente, magari  eliminando quell’eccessivamente raziocinante cervello che troppo spesso prende il controllo sulle sue emozioni: è il genere di conversazione che intrattieni con il tuo cervello alle 3 di notte, dove i risvolti futuri sembrano tutt’altro che rosei, supportati da articoli che citano “Janet Veal, trovata morta divorata dai suoi gatti” o “Donna dell’Arizona congelava i suoi gatti e li mangiava” -GATTI insomma-, se non l’avete mai pensato la vostra vita è più felice della media dell’umanità.
Ma poi c’è Things that are bad for me (pt.II) che ti prende a calci in culo, supportato dalla chitarra di Jake Orrall; il testo che si scontra con la dichiarazione d’intenti del pezzo precedente (Things that are bad for me (pt.I)) che come tutti i piani, del resto, viene cambiato in corso d’opera e dal titolo sufficientemente esplicativo della prima parte ci si sposta verso le dichiarazioni di più facile e calma realizzazione della seconda: “I wanna get fucked up, right now, I don’t care how”.

È un album che corre il rischio di sembrare dedicato a quella fascia femminile che cerca malattie e disturbi della personalità da attribuirsi per poter aumentare il proprio fascino sul genere maschile (-ladies non funziona così, sul serio, NO-), ma svicola da questo pericolo diventando più che altro un inno al tentativo di sfuggire da quella sindrome di Peter Pan così comune alla nostra epoca: chi non s’è mai chiesto “What’s gonna become of my life?”, a chi non è mai stato chiesto “Ma cosa andrai a fare dopo l’università?” e chi non si è mai rifugiato in un angolo in posizione fetale invece di rispondere? Colleen Green, lei ne ha fatto un album abbastanza cazzuto.

Tracce consigliate: I Want to Grow Up, Deeper Than Love.