È sempre bello poter parlare di Coez perché la sua è una storia da prendere a esempio. Avevamo salutato Faccio un casino, due anni fa, come un disco a orologeria, pronto ad esplodere – e così è stato. Con precisione chirurgica il cantautore calò il suo asso di denari al momento e al posto giusto, ossia: nel momento esatto in cui è esploso l’itpop.

Ma l’itpop è una definizione che oggi risulta alle orecchie piuttosto esausta. Motivo per cui, È sempre bello si pone in una zona differente rispetto al disco che lo precede, anche se di Faccio un casino, sulla carta, sembrerebbe il perfezionamento.

Infatti l’ultimo album di Coez riparte dal meglio del precedente lavoro, ovvero dalla collaborazione con Niccolò Contessa. Questo particolare sodalizio, che fece la fortuna dei singoloni Faccio un casino e La musica non c’è, in È sempre bello si stabilizza del tutto. L’ha definita una necessità, Coez, quella di lavorare con Contessa; ed infatti tutto il disco è prodotto dal volto de I cani, in simbiosi con la scrittura di Silvano. Una mossa azzeccata, perché emerge uno stadio evolutivo definitivo della collaborazione tra i due: un pop attuale e riconoscibile, originale. Un pop consapevole, dal carattere molto simile ai suoi fautori: due artisti maturi, che hanno un gran senso della misura delle cose con cui si rapportano.

E Coez sa di rapportarsi ormai con un pubblico che di lui si fida ciecamente. Il guerrilla marketing che ha lanciato È sempre bello ne è un esempio: Coez può permettersi ormai di innervarsi nella quotidianità cittadina, perché i suoi versi ne sono diventati parte. Ma questa d’altra parte è pure una responsabilità e allora comporre un album così, che della leggerezza e spensieratezza fa il suo dna, che vuol dire?

Sicuramente vale l’arcinoto assioma “è già tanto dura la vita…“, che autorizza molto spesso la Leggerezza a presentare la giustificazione scritta, causa “motivi di famiglia”, firmata da mamma Superficialità. Ma insomma, nella fattispecie, È sempre bello che vuole significare? orecchiabilità, sicuro, e tanta condivisibilità. Il progetto è nato sotto l’egida della spensieratezza e del disimpegno, connotati propri anche di Coez, conquistati meritatamente dopo dieci anni di gavetta e di scommesse.

Ma oltre a dieci brani instant classic, e tante frasi manifesto, il quinto album di Coez nasconde anche un’altra faccia della medaglia. Si sente mancanza di “fame” artistica, mancanza di movimento, dinamismo, scommesse. È sempre bello non ha questi elementi. È un disco piuttosto fermo, senza picchi alti ma nemmeno bassi (eccetto Ninna Nanna che perdonate ma proprio non ce se la fa…); è tendente al downtempo, ma ovviamente senza intrichi particolari. Il tono e il fraseggio di Coez sono placidi, talvolta anche troppo, e magari bastava invitare qualcuno per ravvivare con qualche strofa inedita la mono-tonia dell’album.

Ecco, forse ciò che si avverte maggiormente, è l’assenza di spirito di iniziativa, che poteva essere utile a rendere il disco non un periodo di crociera: così infatti suona, come un percorso pallido conseguente al decollo turbolento di Faccio un casino. E se Coez era colui che aveva portato lo stendardo dell’ondata, verrebbe da dire che più in generale sia l’itpop a mancare di spirito di iniziativa, giunti a questo punto. Stiamo parlando dell’itpop nella sua forma ormai “tradizionale”, quella che si propone di descrivere stati d’animo contemporanei, quotidiani, con parole consone a questo scopo: semplici e lineari, appunto – leggere. Tutto incastonato in un suono nuovo, ricercato tra echi hip-hop e indie.

È sempre bello è un album che centra sicuramente il segno che si era prefissato. Sarà un successo, lo è già. Ma la nota – a parer nostro – negativa è che si tratta di un successo fondato su una certezza e non su una scommessa; un successo che nasce dal rispetto rigido di una certa grammatica, la stessa che Coez aveva contribuito a fondare un paio d’anni fa. Ma la formula che era aurea a marzo 2017, risulta ormai stanca a marzo 2019.

Tracce consigliate: È sempre bello, Domenica