cheatahsEtichetta: Wichita Recordings Ltd.
Anno: 2015

Simile a:
My Bloody Valentine – Loveless
Slowdive – Souvlaki
Swervedriver – Mezcal Head

Ad un solo anno dall’omonimo album Cheatahs, la band canadese è tornata all’attacco con un ruggente nuovo album. Il titolo del recente terzogenito prende ispirazione da nientepopodimeno che Barthes.
Mythologies
, al di la della citazione pseudo-culturale,  si confronta ancora una volta con quelle sonorità evidentemente ’90s, più volte negate dalla band, eppure così incredibilmente distintive e riconoscibili nelle loro composizioni.

Red Lakes (Sternstunden), inizia ariosa mettendo subito in campo delle voci distorte che appaiono come echi lontani appartenenti al mondo onirico che popola l’artwork dell’album. Sembra connotare subito l’album come figlio di quelle sonorità psichedeliche rivisitate e rese più pop-ish da band come Tame Impala in Currents e Holydrug Couple in Moonlust.
Hey, Sen ricorda positivamente l’album d’esordio (Extended Plays): le sonorità della chitarra sono al contempo euforiche ed oscure, quasi noise, il che non guasta in quanto aggiungono al tutto una texture aggiuntiva necessaria. I suoni di questo brano si possono ritrovare in Colorado: le voci passano in secondo piano (tornando ad essere echi lontani come nella prima traccia) e le armonie si fanno più prepotenti, volutamente deformate: chitarre distorte alle quali viene rubata la scena da percussioni arroganti, il tutto raggiunge un climax che si dissolve rapidamente in un momento musicale quasi drone, delicatissimo, che sfuma in Supra, che alle sonorità ambient precedent ne aggiunge altre, ancora una volta ’90s, ma questa volta prese direttamente dal mondo dei videogiochi.
紫 (Murasaki), primo singolo dell’album era riuscita ad accendere gli animi: incredibilmente accattivante grazie al ritmo incalzante delle percussioni e della linea di basso, i vocals in giapponese ed i synth così delicatamente oscuri, che ci trascinano in Mysteci, traccia shoegaze in pieno stile Slowdive, nella quale le chitarre si innalzano leggere e fluttuanti così come le voci.

Tutto l’album si muove tra note appartenenti ai generi più disparati: noise-pop, brit-pop, shoegaze, spesso riuscendo a fonderli in un’unica cifra stilistica, “più personale”, che potrebbe essere ricondotta all’esordio promettente dei Cheatahs, ma in tutto questo oscillare da una sonorità all’altra spesso e volentieri si perde coesione, ed a volte, interesse nell’ascolto.
I Cheatahs con questo esercizio stilistico sembravano voler dare prova del loro eclettismo, non solo tramite i suoni, ma anche attraverso un ostentato poliglottismo, l’obiettivo era quello di smarcarsi dall’etichetta shoegaze a loro più volte attribuita, ma a volte in questo tentativo, dimenticano che ciò che rifuggono è proprio ciò che gli riesce meglio.

Tracce consigliate: 紫 (Murasaki)