“I mean, they just move in the neighborhood. You just can’t come in the neighborhood. I’m for democracy and letting everybody live but you gotta have some respect. You can’t just come in when people have a culture that’s been laid down for generations and you come in and now shit gotta change because you’re here? Get the fuck outta here. Can’t do that!”, Spike Lee.

La sdogantata definizione di nuova Golden Age dell’hip hop è terreno fertile di una fisiologica battaglia generazionale. Ai posteri l’ardua sentenza, ma degno di considerazione è l’effetto di gentrification (vedi sobria citazione sopra) che, dall’edilizia, è andato ad estendersi alla musica (e oltre), resasi sempre più fruibile anche a chi più che a Tupac Shakur somiglia al Principe William, o a Taylor Swift più che a Missy Elliott.
Nel 2001 usciva The Cold Vein, l’opera prima del duo Vast Aire e Voldur Mega: i Cannibal Ox. Il tempo ha già reso giustizia a quest’opera, unanimamente considerata tra le pietra miliari dell’ hip hop underground. È ben quattordici anni dopo, in piena nuova Golden Age, che nasce l’atteso sequel: Blade of The Ronin. Tra l’uno e l’altro chi è andato perso, è chi come nessun altro è riuscito a cavalcare il tempo: El-P, produttore di The Cold Vein prima, all’interno della Deifnitive Juxtaxposition, mattatore della scena odierna poi come metà del super-duo Run the Jewels. Quattordici anni comunque rumorosi, tra addii rancorosi, carriere da solisti, depressioni, vicendevoli collaborazioni, ed un susseguirsi di voci che sono culminate in una campagna Kickstarter.

I Can Ox decidono di ripartire da dove avevano lasciato, lontani dal cloud rap, lontani da Auto-Tune. Il paragone con il vecchio alleato, ora nemico, El-P, viene spontaneo. Mentre questo con il suo estro riusciva a guizzare tra i versi con i suoi ritmi sincopati e glitch sintetici, il nuovo produttore Will Cosmiq decide di fungere da cornice, supportando senza mai oscurare, sviluppando uno scenario cinematografico da New York in allarme rosso da blackout del 1977 attraverso un boom bap essenziale, campionamenti di archi e synths cinematici. NY, anzi Harlem, è d’altronde la casa di Vast e Vordul, il primo dal flow tagliente ed aggressivo, il secondo lento, distaccato, a tratti fin troppo cantilenante. Mentre Vordul sciorina rime più classicamente metaforiche sulla condizione umana e sul significato di essere neri, è Vast Aire a dirigere lo show. È lui il maschio alfa del duo, ed è lui a fissare i pali di una gabbia d’acciaio costruita su un fittissima trama di liriche epiche, profonde, dove la pop culture viene a mescolarsi ad un lirismo iperbolico, mistico ed autocelebrativo (già ciliegina di The Cold Vein), ad un coacervo di riferimenti biblici, alla cosmologia, alla Five-Percent Nation, rendendo i giochi di parole veri e propri labirinti. Labirinti indistricabili ai più, ed è qui che i Can Ox giocano la loro battaglia, è qui dove si schierano. Perchè alcune cose devono essere vissute sulla propria pelle per essere comprese pienamente, sulla pelle di chi ad Harlem ci è nato, e non ai turisti del rap. Neanche si chiamassero William Dolbens.
My kids are rough, they eat iron candy / My girl’s tough, she wears iron panties / I was born in an iron galaxy / You can act Sir. William / My favorite rock band is Iron Maiden / I wrote these raps on iron pages / Blacks hate the prisons with iron cages.

Un lavoro anacronistico nell’era di Kanye e Drake. Un forte di un’ora e 19 brani, talmente massiccio, baritonale e monotòno, da risultare talvolta monotono. Nonostante il livello medio delle tracce sia estremamente alto, ma senza delle verie e proprie bangers, alcune di esse perdono il loro slancio, terminando, anziché culminando, nel loro momentum, talvolta complice il flow sottotono di Vordul ed una produzione solida ma non estroversa. Un’opera che non si presta ad essere pienamente apprezzata ad un primo ascolto, e neanche al secondo, ma comunque convincente e vincente, sopratutto nella loro intima battaglia, seppur risenta del peso di quattordici lunghi anni che la privano del pionieristico slancio che portò i Cannibal Ox nell’Olimpo dell’hip hop.

Tracce consigliate: Psalm 82, Iron Rose.