Sono noioso quando recensisco qualcosa.

Me ne rendo conto, specialmente quando cerco di motivare razionalmente e di elencare tutti quei fattori che mi hanno convinto della validità o della sciattezza di un disco.
A volte è frustrante sapere di avere in mano un bel disco e non trovare proprio “quelle” parole che renderebbero giustizia.
Ed é il caso di questo disco.
Mi ha completamente scaldato il cuore: minimalista, morbido, ti dice quel che deve sottovoce, quasi vergognandosi di essere così concretamente bello.
Bello nei passaggi geniali, ironici, come l’intro di Quincey, come i synth strascicati in Perry St. 2, come la pioggia di armonici percussivi in Clasped Hands o come la deliziosa sezione ritmica sporchissima di Live in Chicago.
Warm Blood danza tra la pienezza di un suono lo-fi che ti avvolge completamente, “quel” mur(ett)o di synth ottimamente orchestrato, e la ruvidità a me familiare (forse non a tutti, ma chissenefrega) di certe sonorità aspre e taglienti, specialmente sulla sezione ritmica e sulle chitarre, che si contrappongono concettualmente in tutto e per tutto al sopracitato muretto di suono caldo e rotondo.
Non voglio dilungarmi in altre noiose descrizioni, ascoltatelo, per diana.
Questo è il classico disco che quando lo ascolti la prima volta ti lascia completamente ammaliato, ma poi lo lasci stare, l’amico ha da dirti qualcosa, sei in doposbronza fatale, devi pensare a altre volgari urgenze di tutti i giorni.
Poi ti ricordi un motivetto, una chitarra e torna tutto insieme.
Estremamente misurato.
Uno dei miei, personalissimi e sinkingelephantissimi, dischi dell’anno: consigliatissimo.