I Blacklisters ci propongono un post-hardcore energico e rumoroso, senza mezze misure, che striscia con un pelo virile il grunge, mentre si appoggia con eccitazione taurina al noise rock. La cosa che desta più sorpresa è il fatto che provengano da Leeds e non dagli States, figli della globalizzazione musicale portata da internet.

La sezione ritmica regge solidamente i riff sospesi tra il metal e l’hardcore, con una leggera predominanza del basso rispetto alla batteria. Il duo iniziale (Shirts e Cash Cow) è il manifesto della band, pezzi sempre in tensione dal diverso aspetto: la prima delle due gioca sul cantato scazzato e su un incedere del basso ansioso e minaccioso che ricorda un misto tra Shellac e The Jesus Lizard. La seconda traccia si spinge verso territori più distintamente hardcore, stavolta il cantato è rabbioso e feroce ed è la chitarra che si presenta svogliata nei versi, per poi esplodere in ritornelli iper-dinamici, con il basso che come un mitragliatore lavora di sedicesimi. Le canzoni si alternano così tra minacce boschive (Weasel Bastard) e sferragliate che ricordano i Melvins (I Knock Myself Out). Il disco giunge alla conclusiva Downbeat, 4 densi minuti ossessivi che lasciano poi spazio ad una ghost track che nulla ha a che fare con il resto dell’album, con la sua lentezza e malinconia, senza cantato, vicino a territori post-rock.

Adult, oltre a ricordare la band di Steve Albini, ingloba nelle sue ispirazioni i soliti Fugazi, soprattutto negli assalti chitarristici più aggresivi e schizofrenici. Il disco è godibilissimo e ultra compatto, l’unica grande e decisamente udibile pecca, è il suo suono che risulta davvero troppo familiare a chi sia musicalmente figlio dei ’90. Non mancano comunque, in Adult, le occasioni per colgiere il meglio del periodo d’oro post-hardcore e riproporlo al pubblico odierno.

Traccia consigliata: Cash Cow