Prolifico, no, non è l’aggettivo che viene in mente per primo pensando a Bill Fay ma, attenzione, non è colpa sua. Autore di due album di folk pianistico nei primissimi anni settanta viene presto scaricato dalla label a causa delle vendite insoddisfacenti. Un risultato normale, a voler essere onesti: contrapporre uno strumento antiquato come il piano alle chitarre delle avanguardie pop-olari rivoluzionarie (e qui scappa una risata) del rock? Al massimo poteva essere un accompagnamento. E così Bill Fay torna presto a fare altro nella propria vita che non sia incidere dischi, perlopiù lavori umili. È forse un miracolo che quei vinili finiscano nelle mani giuste: negli anni novanta inizia a formarsi un piccolo culto di affezionati del misconosciuto cantautore inglese che porta alla ristampa della limitata discografia. Ad oggi fra i suoi ammiratori più celebri si contano Nick Cave, War On Drugs, Current 93, R.E.M., Wilco
Una cosa tira l’altra e Fay si ritrova a consegnare alle platee, ora ben più vaste, dei suoi fan il terzo e il quarto lavoro in studio, Life Is People e, finalmente, Who Is the Sender?
Who Is the Sender è il ritorno esistenziale ai temi trattati da sempre: la natura e le persone, questioni spirituali e filosofiche, la vita in generale. Le coordinate generali in musica sono sempre le stesse: un tono pacifico, un canto sommesso, un lavorìo ai tasti ricercato senza essere pretenzioso, che con il tempo si è fatto ancora più rarefatto che una volta. Si prenda ad esempio sommo Underneath the Sun: l’atmosfera è quella quasi impalpabile di un’alba o un tramonto rossastro, i cori (anni settanta come non mai) ad accompagnare i pochi tasti pigiati con leggerezza.
Tema ricorrente, ancora una volta, è il timore di un futuro sempre meno roseo, sempre più a tinte fosche: è il caso di War Machine che dall’osservazione di un volo di rapace passa alla riflessione interna del narratore e poi direttamente ad un dialogo indiretto con l’ascoltatore. E poi ancora A Page Incomplete e Order of the Day: se Fay non fosse di una mitezza disarmante, a parole e suoni, sarebbe quasi da definire come apocalittico e tragico. O forse no, perché in mezzo alle brutture e all’orrore c’è sempre la spinta e la preghiera di un miglioramento, di un’utopia che sì, forse lascia il tempo che trova, forse ignora tanti lati oscuri dell’animo umano o meglio ancora spera di cambiarli, farli sparire: ma chissenefrega se non siamo d’accordo con le speranze e l’ottimismo di questo adorabile signore, lasciatelo cantare in pace, lasciatelo sperare.

C’è poco altro da aggiungere a questa lectio magistralis in musica. Meglio lasciar parlare l’umiltà di Fay a proposito del titolo dell’album e di qualcosa di più grande.
Ask Bill Fay about his relationship with his instrument and he says something revealing, not “Ever since I learnt to play the piano”, but “Ever since the piano taught me…” What the piano taught him was how to connect to one of the great joys of his life. “Music gives,” he says. And he is a grateful receiver. But, it makes him wonder, “Who is the sender?”

Tracce consigliate: Who Is the Sender?, War Machine.