I Be Forest vincono quella che è un po’ la sfida di tutti i musicisti al secondo album: rinnovarsi senza perdere ciò che li aveva resi magici. Earthbeat è, quindi, in tutto e per tutto il seguito di Cold, ma il buio che lo dominava è diventato il chiarore dell’alba e il freddo che gli dava il nome è ora diventato un caldo posto rassicurante tra gli alberi della foresta.
Gioca in favore di queste nuove atmosfere l’aggiunta al gruppo di un quarto elemento, alle macchine: macchine che sono però calde e vive (riproducono spesso e volentieri più il suono di flauti e xilofoni che di synth veri e propri) e aiutano a trasportare ancora di più in quella dimensione tribale che ha sempre rivestito un ruolo importante nel sound dei Be Forest, ma che ora con Earthbeat diventa protagonista, grazie anche a un drumming sempre più complesso e ricco di particolari, ma non per questo meno spontaneo e istintivo. L’unica vittima di questa nuova formula è il minimalismo che dominava in Cold, ma i corposi paesaggi sonori di Earthbeat non ne rendono dolorosa l’assenza e brani struggenti come Captured Heart, Colours e soprattutto Ghost Dance ne sono il perfetto esempio.
A completare il quadro c’è come sempre il vero fondamento dei Be Forest, l’attitudine wave: il basso è una continua connessione con il post punk, le chitarre spaziano dallo shoegaze al dream pop, la voce crea una dimensione eterea in cui l’ascoltatore è proiettato per l’intera durata del disco. Non mancano quindi alcuni spettri della darkwave (Lost Boy, Airwaves), evocati dall’intro strumentale Totem, che nel suo evolversi è l’ideale ponte tra Cold e Earthbeat. Il secondo totem strumentale (Totem II) è posto al centro dell’album ed evoca invece angeli di fattezze decisamente più dreamy, protagonisti della traccia conclusiva Hideway. Il risultato è un disco che va vissuto tutto d’un fiato dall’inizio alla fine, lasciandosi commuovere e meravigliare dai paesaggi e dalle emozioni a cui riesce a dare vita.
Con Earthbeat i Be Forest, seppur ancora giovanissimi, danno una grandissima prova di maturità, sfornando un album alla pari del suo predecessore, se non superiore, sicuramente un altro mezzo capolavoro di una band che, se non lo si specificasse in continuazione, neanche verrebbe da pensare che sia italiana, tant’è universale la sua musica, in grado di parlare con l’anima di chi l’ascolta. Che è un po’ la sfida di tutti i musicisti.
Recommended tracks: Captured Heart, Lost Boy, Ghost Dance.