Qualche settimana fa Deer Waves ha fatto un sondaggio presso i suoi lettori chiedendo cosa andasse e cosa no. Tra le risposte ne è arrivata una che recitava testualmente “Qualche band di folk italiano, non quelle gnegne, ma quelle veramente fighe“. Io non so cosa volesse intendere di preciso il lettore ma so che, di primo acchito, ho letto e ho pensato “Gli Ardecore!“.
Geniali già a partire dal nome (gioco di parole fra hardcore e brucia il cuore in romanesco) hanno saputo negli anni costruirsi una carriera che è andata ben oltre quello che ci si poteva aspettare da un supergruppo nato un po’ per caso, un po’ per destino e un po’ per volontà. Questo Vecchia Roma (che in copertina porta il gruppo scultoreo dell’entrata al macello di Testaccio, con un putto nell’atto di prendere per le corna un toro) arriva a più di quattro anni di distanza dal massiccio San Cadoco, nettamente diviso fra un cd di brani originali e uno di riletture degli stornelli capitolini. Vecchia Roma, già il titolo lo fa intuire, si riallaccia a questo secondo filone, essendo composto solamente di cover; cover però è un pessimo termine da usare per un album visceralmente radicato nella Città eterna, meglio chiamarle rivisitazioni, rielaborazioni, omaggi. Anche perché il lavoro di recupero di questa manciata di brani, risalenti perlopiù a quasi un secolo fa, non merita certo diminuzioni valoriali.
Per ogni canzone, una cartolina; Castel Sant’Angelo e il San Michele che rinfodera lo stocco che lo orna sulla cima, la Pietà di Michelangelo, la Sacra Culla di Santa Maria Maggiore e poi il Colosseo, i Fori imperiali, Cerere recante la cornucopia e via così.

Ma la musica? Era già annunciato uno sviluppo in chiave gospel: di religiosità, popolare e popolana, i dischi degli Ardecore e la cultura dalla quale attingono sono sempre stati pregni. Basti tornare con la mente a uno dei brani più celebri, Madonna de l’urione, il cui protagonista depone i propositi di vendetta verso la fidanzata fedifraga, ripone il coltello e corre a sostenere la statua della Vergine in processione. È un gospel che però non vive mai solo ma torna sempre a mescolarsi con il folk sanguigno, marchio di fabbrica del gruppo, che in questo caso però assume tinte generalmente più malinconiche e amare: è accettabile parlare di una strada intrapresa con piglio assolutamente personale verso il blues? Perché no.
Chi ben comincia è a metà dell’opera e l’attacco del disco è quello delle note sgraziate di piano di Girasole, come sgraziato e commovente è l’urlo di un uomo abbandonato dall’amata per un altro con la dichiarata motivazione del vile denaro.  C’è poi Signora Fortuna dove viene messo a nudo un narratore disperato quanto sventurato che trova il solo sollievo e la sola beatitudine nel tornare a vivere la madre: forse fa sorridere oggi (ma non dovrebbe, viste le folle di precari e disoccupati costretti a vivere sulle spalle dei genitori, parentesi di attualità chiusa) e forse non è nemmeno l’unica chiave di lettura ma rimane la più intima e commovente. C’è la carica di speranza e fiducia nel futuro di una giovane coppia raccontato a due voci (con la collaborazione di Sarah Dietrich) di Pupo biondo per il quale non scendo nei dettagli, preferisco lasciare a voi la sorpresa della storia narrata. E come dimenticare la massiccia rivisitazione in chiave attuale di Vecchia Roma, che suona ancora e sempre perfetta, senza tempo nel suo malcelato rancore di fronte agli stravolgimenti e alle storture del progresso.

Vecchia Roma è, per fortuna, l’ennesimo lavoro coi controfiocchi del gruppo capitanato da Giampaolo Felici, capace di spaccare il cuore e spingere ad immedesimarsi in storie mai nemmeno immaginate, figurarsi vissute. Se dal punto di vista testuale c’è davvero poco da scrivere, meglio invece tornare a sottolineare ch gli arrangiamenti, sebbene particolari per i brani trattati, non deludono mai,
Un lungo applauso agli Ardecore, perché se riesumare è un lavoretto tutto sommato facile, riportare in vita è cosa non di questo mondo.

Tracce consigliate: Girasole, Pupo biondo.