Erano partiti con un Moon safari ed erano fighi, l’altra faccia dell’elettronica francese, quella pacata e di classe, tanto cool quanto snob. Quattordici anni dopo tornano con un voyage dans la Lune e sono più noiosi che mai. Dopo Moon Safari c’erano stati due sequel gradevoli e poi un quarto album, Pocket Symphony, che segnava una vera svolta nel sound della band: erano diventati un duo pop raffinatissimo, maturo e ricercato. Quella era la strada da prendere. E invece segue un flop enorme come il quinto album, Love 2, che nel tito ambisce ad essere un Moon Safari 2, e infine questo sesto album, Le Voyage Dans La Lune, ennesima citazione di Moon Safari. Sì, sì, l’ispirazione viene anche dall’omonimo film muto da cui l’immagine copertina è ricavata, ma se si parla di Air e di Luna, il pensiero va sempre là.
Le atmosfere sono simili ai soliti Air, ma è tutto molto più barocco, con echi classicheggianti che davvero stonano in quello che rimane pur sempre un album pop e lo rendono così pesante che sembra che duri ore, quando invece va poco oltre la mezz’ora.
I passaggi interessanti ci sono, eh, e non pochi: le due teste dietro gli Air rimangono dei compositori geniali, ma il meccanismo pop dentro cui loro stessi si sono trovati bloccati non funziona così.
Come al solito fanno la loro comparsata dei guest vocali che appaiono, guarda caso, nei brani migliori: Au Revoir Simone (per Who Am I Now?) e Victoria Legrand dei signori Beach House. Manco a dirlo quest’ultima è il Re Mida della situazione e salva l’album con un brano che se non lo porta alla sufficienza ci si avvicina molto. Seven Stars, non per niente prima traccia pubblicata, è davvero un bel pezzo e neanche la sezione centrale (synth pacchiano / tapping di chitarra con tanto di countdown che sembra far morire la canzone) riesce a rovinarlo. Dunckel, a parte in Seven Stars, questa volta non canta proprio.
L’album non ha davvero niente di più di quanto già detto, qualche intenso momento pianistico di brevissima durata qua e là e poi è tutto finito.