Oliver Ackermann torna col terzo album dei suoi A Place To Bury Strangers, meglio conosciuti come UNA DELLE BAND PIÙ FIGHE DELL’ULTIMO LUSTRO. Worship è una perla di puro revivalismo “originale” combinato con un noise sempre più assordante e avvolgente, da instant boner. Si va oltre al caro vecchio shoegaze: qua si parla di post-wave-dark-industrial-cold-bitch-please-noise-gaze, ragazzi, che in poche parole è una bomba per i timpani, per il cuore e per l’apparato genitale di ambo i sessi (presumo). Senza contare che a metà dell’album arriva la sorpresina. Ma partiamo dall’inizio.
Worship è una continuazione di Onwards To The Wall (o meglio il secondo è un’anticipazione al primo), EP uscito qualche mese fa, non recensito perché io odio gli EP, ma che guarda caso avrebbe preso il medesimo voto di Worship. Le atmosfere che si respirano nei due lavori sono principalmente figlie di Ego Death, la canzone finora più estrema degli APTBS, comparsa nello scorso album, Exploding Head. Suono opprimente, amplificatori portati al limite del dolore, voce cupissima e gutturale, mood assolutamente pessimo.
Questa somiglianza nei primi momenti dell’album gioca un po’ in suo sfavore, perché nell’EP c’erano pezzoni come I Lost You o Drill It Up, momenti intensissimi di inedito post-punk con tanto di voce femminile nella title-track e mai un calo d’attenzione; all’inizio di Worship invece abbiamo la distruttiva Alone e il graditissimo ritorno alle sonorità del primo disco con la splendida You Are The One, ma poi ci sono i momenti di incertezza della title-track e di Fear (che pur peccando dal punto di vista melodico è comunque un trionfo di noise frastornante).
Poi il giro di boa. Dissolved. Dolcezza assoluta sin dal primo secondo (o meglio, dal ventottesimo) e spuntano subito le lacrime. Non le solite lacrime di dolore o da madonnaquantosonofighiquestistronzi (versabili facilmente durante i loro concerti), ma vere lacrime di commozione, roba che dagli A Place To Bury Strangers non ci si sarebbe mai aspettata. Se fossero un gruppo metal Dissolved sarebbe la loro ballad, ma gli APTBS sono un gruppo shoegaze quindi Dissolved è il loro pezzo dream pop, dolcezza e lacrime e riverberi. E siamo solo al minuto 3:16, il brano ne dura ancora 2:11.
La cosa fighissima (almeno per un fanboy come me) è che qua si è proprio nel cuore dell’album, esattamente nel mezzo ed è qui che succede la cosa più bella in assoluto. CAMBIO! Giretto di basso allegrotto e poi parte un assoletto surf. SURF. SURF! La seconda parte della canzone, se possibile, è anche migliore della prima. Wave coi controcazzi, giro vocale catchy come non capitava da tempo. Una meraviglia assoluta, direttamente nei migliori pezzi del repertorio. E dell’anno, manco a dirlo.
Poi arriva Why I Can’t Cry Anymore, torniamo alle atmosfere di inizio disco per quello che è invece dei pezzi più fottitimpani della carriera APTBSiana. Si continua per la stessa strada con Revenge, per poi tornare alla wave di qualche minuto fa con And I’m Up, davvero vicinissima ai livelli di Dissolved. E qui non si può che provare un amore infinito per questi tre stronzi, che già prima di questo album era infinito e ora lo è ancora di più.
Slide sono i cari vecchi APTBS e Leaving Tomorrow è l’ennesimo pezzone del disco, che riprende esattamente da dove I Lost You aveva iniziato nell’incipit di Onwards To The Wall. Sulla fine Oliver canta “And I don’t want to go”. Neanche noi.