downloadCiao amici, ieri in redazione abbiamo letto un articolo a dir poco divertente sulle pagine digitali de Il Fatto Quotidiano.

L’articolo in questione è questo (vi invito a leggerlo prima di continuare). La penna responsabile è quella di tal Valerio Cesari. Sarò onesto con voi, amici, e nel caso assurdo il signor Cesari stesse leggendo, anche con lui: io non avevo idea di chi fosse, assolutamente, e mi sono stupito di quelle parole soprattutto su un giornale, seppur online, come Il Fatto Quotidiano, che in genere lascia niente o poco al caso. Un giornale giusto per dirla come va detta, l’unico giornale che compro quando sono in tour, il giorno dopo aver suonato, aspettando il treno per tornare a casa. Non che questo sia indicativo di qualcosa in assoluto, sicuramente è un giornale a cui sono molto affezionato e quello che sto per scrivere non è frutto di preconcetti, nè di mitomania verso la band, nè di retorica come la maggior parte della stampa musicale italiana. Quel che vorrei provare a fare oggi è scrivere un articolo sincero e smascherare l’incompetenza dei tuttologi musicali che in Italia esistono a tutti i livelli, dai blog di settore da cinquanta visite giornaliere a Repubblica XL (rimane un mistero il fatto che la gente compri questo giornale, a meno che non lo faccia per le strisce di Zerocalcare).
Teniamo presente che l’introduzione all’articolo, il primo paragrafo, è questo qui:

Gli Arcade Fire sono tra quelle band che vuoi o non vuoi devi fartele piacere per forza: un po’ per senso del dovere (e della professione), un po’ perché non si parla d’altro, un po’ perché una spinta mediatica oltranzista li ha eletti, senza alcun merito di sorta, al rango di miglior gruppo del mondo: pagine su pagine, fiumi di inchiostro per una ghenga che ha sì carte e numeri importanti ma non esageriamo, al massimo diciamolo pure ma vedendo bene di non farci sgamare.

Beh, Valerio (perdonami se ti do del tu) fossi davvero uno del settore o quanto meno un giornalista conscio sapresti di aver mentito. Parli di spinta mediatica addirittura oltranzista che li avrebbe eletti a miglior gruppo del mondo. Che gran cazzata. Se fossi un giornalista informato (penso sia il minimo per scrivere un articolo su qualcosa, qualunque cosa) sapresti che le opinioni dei media, i migliori media internazionali del settore, soprattutto per Reflektor sono state assolutamente discordanti. Ti suggerisco un paio di siti chiamati Any Decent Music e Metacritic: qui puoi controllare la veridicità delle frasone tipo “spinta mediatica oltranzista”. Dai un’occhiata ai voti.
Forse Valerio confondi la promozione del disco con la spinta mediatica. Funziona che se vuoi promuovere un disco paghi un agente o un’agenzia che faccia un servizio di promozione. Se sei gli Arcade Fire e puoi permettertelo, quanto meno economicamente, puoi finire ovunque, puoi realizzare delle trovate geniali e fare tutta la promozione che ti pare. Il risultato è che ti fai vedere un po’ ovunque ma quella, caro Valerio, si chiama pubblicità, non spinta mediatica. La differenza è semplice, nel primo caso parliamo esclusivamente di soldi, nel secondo caso si presuppone un giudizio. Se un sito parla della trovata commerciale degli Arcade Fire di turno non dà un giudizio alla musica ma all’operazione di marketing. Magari sapere tutto ciò ti tornerà utile in futuro.

Fin qui in realtà niente di eclatante, mi sembrava giusto chiarire la cazzata per chi magari, leggendola sul Fatto Quotidiano, solo perchè è un quotidiano molto conosciuto, ci crede.
Il resto dell’articolo, invece, mio caro Valerio è assolutamente raccapricciante, sfoderi una superficialità e una vuotezza di contenuti degna di un Giornale qualsiasi. Sembra di leggere Giuliano Ferrara che si cimenta a scrivere di musica.
Partendo dal presupposto che i gusti sono indiscutibili e sacrosanti e per fortuna siamo tutte persone diverse, vorrei soffermarmi su un paio di punti del tuo articolo:

“Reflektor” è il sintomo, la prova vivente di una discografia malata, che s’appiglia alla giostra di turno nell’ostinazione inutile di non voler morire, nel tentativo di guadagnare quelle 2 lire che serviranno a placare gli animi di chi, se non cieco o sordo, non può non vedere l’essenza delle cose: gli Arcade Fire sono un simpatico accessorio, un vessillo al soldo di un’industria che non potendo e non volendo investire si ripete in maniera evidentemente autoreferenziale, sposando la causa (musicale) di chi, come la band in questione, è riuscita nell’impresa quasi titanica di azzeccare 3 canzoni su 13, dividendole oltretutto in 2 dischi, per un totale di neanche 80 minuti di musica.

Hai presente quando firme ben più note del giornale in cui scrivi citano l’ormai famoso concetto che è molto più facile scrivere una puttanata perchè ci metti poco e se la scrivi in modo deciso convinci il lettore, mentre è molto più difficile smontarla perchè richiede un ragionamento spesso noioso? Ecco io mi trovo in questa situazione. Partiamo dal presupposto che è tutto incredibilmente sbagliato, oltre al fatto che non riesco a capire il significato di discografia malata. Il quarto disco degli Arcade Fire, signor Valerio, è tutto tranne che un appiglio alla giostra di turno, un tentativo ostinato di non voler morire, tantomeno un contentino per i fan, giusto per guadagnare le due lire. Posso spiegare, io.
Reflektor è prodotto da James Murphy (che non hai neanche citato in tutt0 l’articolo, molto professionale, complimenti) ex mente e voce degli LCD Soundsystem, ex DFA (è un’etichetta discografica storica) di cui è il co-fondatore. Questa è una premessa fondamentale sai perchè, Valerio? Perchè serve a comprendere alcune scelte stilistiche adottate dalla band, serve a comprendere atmosfere e suoni e a spiegare agli ascoltatori distratti, dei quali temo tu faccia parte, perchè il disco NON È come i tre precedenti. Non so dove tu veda la scelta sicura della band per vendere un prodotto facile, perchè questo non è un prodotto facile, assolutamente. Temo tu ti sia sprecato molto poco nell’ascolto, se non altro perchè butti via la seconda parte che probabilmente è la più complessa e affascinante del disco:

Ma al peggio non c’è fine e, ad esser buoni, la seconda parte [del disco ndr] è raccapricciante 

La seconda parte è proprio quella in cui gli Arcade Fire hanno osato di più, mostrando il coraggio che solo una grande band e degli ottimi musicisti possono avere. Noto con piacere che anche tu, come me, reputi Afterlife un pezzo incredibile (per me è a pari merito con Oh, Orpheus), però non vorrei farmi i conti in tasca o meglio nell’orecchio tuo. Così a intuito se ti è piaciuto un pezzo emozionale ma relativamente semplice come Afterlife e hai cassato così di netto la seconda parte del disco, probabilmente, vuol dire che tu davvero avresti preferito una scelta per guadagnare due soldi, quella facile facile, un pezzo alla Rebellion, uno alla No Cars Go, i soliti coretti, i crescendo di archi e chi s’è visto s’è visto, no? Avresti preferito la scelta che tu, senza uno straccio di ragione, accusi la band di aver fatto. Mentendo e sapendo di mentire, o ancora peggio mentendo perchè non hai idea di cosa stai parlando.

Mi dispiace essere così critico, tutto ciò potrebbe suonare mitomane a una lettura poco attenta, in realtà ho cercato di spiegare alcune delle infinite cazzate che hai scritto, con argomentazioni abbastanza precise, cercando a mia volta di non annoiare (sì, potrei scrivere molto ancora). Ah, a proposito, se scrivi di musica e ti approcci a un disco che non hai ancora ascoltato pensando “io di questo disco mi voglio innamorare” ti prego cambia mestiere.

Caro Valerio, è raccapricciante che gente come te, magari giornalista molto capace anche solo in altri ambiti musicali, venga pagata per scrivere un articolo del genere o anche soltanto disponga della visibilità di un quotidiano online per dare sfogo a dei capricci insensati. Ho letto un po’ di articoli che hai scritto sul Fatto Quotidiano, ho letto che hai parlato di Megadeath, Metallica, Guns and Roses ma su quello non ho niente da dire, sai perchè? Perchè non ne so un cazzo di queste band ed è così che si fa quando non si sa niente su un argomento, si sta in silenzio. L’unica critica che potrei avanzare è: perchè parlare di Arcade Fire quando il tuo passato da critico musicale appartiene a tutt’altro? Hai scritto di band come i QOTSA, le altre sopra citate, i Pearl Jam e invece gli ultimi due articoli sono su Cloud Control e Arcade Fire, vuoi farci credere che hai scoperto la musica indipendente (che poi, anche di questo, parliamone) nel 2013?
La stampa musicale italiana, non finiremo mai di dirlo, è sempre più raccapricciante: a parte poche felici eccezioni ci troviamo sempre a dover leggere le puttanate di sedicenti tuttologi che non si sa come hanno le competenze per parlare di ogni gruppo, di ogni genere musicale, di ogni epoca, e noi siamo lì a metterci le mani nei capelli e a pensare che per certa gente dire stronzate è un lavoro mentre noi siamo qua a spaccarci il culo senza nessun tipo di presunzione, al massimo con tanta ironia, e a preoccuparci di dividere i dischi per competenze. Io ascolto più tal genere, meglio se questo disco lo prendi te. Ascoltiamo frasi così ogni giorno in redazione, sai Valerio?

Ah e giusto per essere chiari, ho scritto il tuo nome tutto il tempo non certo per mancarti di rispetto e ti sto dando del tu semplicemente perchè leggo che sei un ’87 e non eccessivamente più anziano di me. Detto questo è giusto che tu sappia il mio nome. Giorgio Spedicato, ’92.