Le manie di protagonismo degli anni duemila-dieci hanno veramente rotto il cazzo. Ognuno di noi dovrebbe avere una specie di barometro interno del protagonismo e auto-censurarsi, ma il più delle volte non è così. A ricordarci la tragica deriva sociale della nostra generazione e dei suoi eroi è Damon Albarn. Il cantante dei Blur (potete ascoltare il nuovo album dopo 16 anni –The Magic Whip– qui) e dei Gorillaz critica apertamente, in un’intervista rilasciata al Sunday Times Culture, eccessivo egocentrismo e vanità dei protagonisti delle scene musicali attuali.
Nello specifico, Albarn prende posizione, partendo dal particolare ed aprendosi al generale, sulla mancanza di coscienza politica della maggior parte degli artisti moderni, sempre impegnati a promuovere il proprio album, sé stessi, la loro carriera o qualunque cosa che abbia a che fare con la propria immagine, definendoli quasi vittime e promotori della tristemente attuale selfie-generation.
“Look at music now. Does it say anything?,” –dice Albarn- “Young artists talk about themselves, not what’s happening out there. It’s the selfie generation. They’re talking platitudes… What are any of them saying? I don’t hear anything other than: ‘This is how I feel.’ Which is an important part of songwriting, but we’re talking in the context of the election – and they don’t have anything to do with it.”
Nelle parole rilasciate al Sunday Times il cantante britannico evidenzia, utilizzando come bersaglio i propri colleghi per parlare in realtà della società in generale, quanto essa sia atrofizzata dall’eccesso di auto-celebrazione, perdendo completamente di vista il contesto, il prossimo, il mondo che ci circonda. L’artista si chiede – ad esempio – se sia possibile che in periodo pre-elettorale (in Inghilterra) nessun artista abbia espresso la propria idea sulla questione. Disinteresse totale o scelta consapevole? Leggendo tra le righe dell’intervista di Albarn, la prima. Da questo concetto poi la critica di questa sorta di anestesia globale si estende anche ad altri aspetti.
Basta aprire Facebook per rendersi conto che forse si sta un tantino esagerando. Siamo tutti colpevoli.
L’intervista completa è disponibile qui (è necessaria la sottoscrizione).

