the vickers

Tra i gruppi che da qualche tempo donano nuovo smalto e visibilità internazionale alla scena musicale Italiana vi sono sicuramente i fiorentini The Vickers (Andrea Mastropietro – chitarra e voce, Francesco Marchi – chitarra e voce, Federico Sereni – basso e voce, Marco Biagiotti – batteria).
Le sonorità psichedeliche del nuovo singolo She’s Lost, anticipatore del terzo album Ghosts, sono state infatti largamente apprezzate e condivise su numerose webzine nostrane ed europee (Inghilterra, Francia, Russia, Germania..), persino intercontinentali (USA, Canada, Nuova Zelanda). All I Need, bside del singolo stesso, è stata inoltre inserita in una playlist radiofonica da Simon Raymond, membro dei Cocteau Twins nonché fondatore dell’etichetta Bella Union.
In una chiacchierata informale davanti a una birra, contornati da vecchietti intenti in una violenta briscola alcolica alle 15.30, Andrea, Francesco e Marco ci hanno raccontato un po’ del loro passato, dei loro progetti presenti e futuri e di cosa significhi fare musica oggi in Italia.

DW: Classico domandone iniziale: come e quando vi siete conosciuti?
Andrea: abbiamo incominciato a suonare verso la fine del 2007; Federico e Francesco si conoscevano già dai tempi della scuola e sono entrati quasi subito in contatto con me; l’ultimo ad unirsi al gruppo è stato Marco, alla batteria.
Abbiamo iniziato a suonare pezzi nostri, ovviamente qualche cover per conoscerci ma l’interesse principale è stato sin da subito una produzione originale. Nei primi mesi del 2008 poi è uscito il nostro primo demo, il quale ha avuto un successo inaspettato dato che ci siamo trovati a suonare, a distanza di soli sei o sette mesi dalla nostra formazione, all’International Pop Overthrow Festival di Liverpool, un onore per noi quattro amanti dei Beatles.

DW: Sentendo invece il nuovo singolo She’s Lost si percepisce una svolta sonora, un abbandono pressoché totale della canzone pop tipicamente beatlesiana, appunto, in favore di una ricerca sonora che spazia dalla psichedelia 60s contaminata di atmosfere 80s e noise 90s. Il motivo di questa rivoluzione?
Francesco: noi siamo sempre stati attratti da questi suoni e queste atmosfere. Semplicemente prima non ci eravamo mai fermati a pensare e a fare delle vere e proprie “sedute di registrazione”, dato che ci siamo trovati sin da subito a fare molte date in giro. Anche il secondo album, Fine For Nowè frutto dell’esperienza sul palcoscenico ed è stato registrato e mixato in poco tempo e contiene numerosi pezzi energici, considerabili appunto da “live movimentato”. Finito il tour abbiamo deciso di prenderci tutto il tempo necessario per chiuderci in studio a tirar fuori anche il nostro lato riflessivo, che abbiamo sempre avuto ma non siamo mai riusciti a far emergere.

DW: Come si è svolto il processo di creazione e registrazione del nuovo album?
Andrea: Il metodo di scrittura delle singole canzoni è da sempre lo stesso: chi ha un pezzo e bene o male ne ha chiaro nella mente lo sviluppo, lo porta in sala e ci si lavora tutti insieme. Per questo album nello specifico abbiamo optato per una registrazione “approccio anni 60”, quindi per una composizione in presa diretta, costruendo e scrivendo ogni parte durante le sessions in studio.
Francesco: Il primo periodo di registrazione è stato quello dell’accumulo di materiale, il secondo è stato quello della scelta, operando per sottrazione, con l’intento di dare più ampio respiro ai pezzi.

DW: Avete già suonato i nuovi pezzi in giro? So che avete partecipato all’Annibale, il Festival Psichedelico di Calenzano (PO): com’è stata la risposta del pubblico al nuovo materiale?
Marco: La reazione del pubblico è stata davvero buona, in particolar modo all’Annibale (di cui si è tenuta la seconda edizione il 12/13/14 settembre, ndr). L’unico problema – se di problema si può parlare – è che questo nostro nuovo sound è ovviamente più adatto a determinate situazioni, mentre gli album passati si potevano tranquillamente suonare in occasioni più variegate.
Andrea: La cosa positiva dell’Annibale è stata inoltre la possibilità di suonare fino a notte inoltrata, con la sorpresa di avere davanti al palco sempre e comunque lo stesso numero di spettatori e lo stesso livello di partecipazione; situazione molto vicina all’ideale di festival estero, seppur in maniera nettamente ridimensionata ma comunque molto improbabile qui in Italia.

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DW: Dunque un’atmosfera ottima, circoscritta geograficamente ma che fa ben sperare per il futuro.
Quando si parla di musica indipendente italiana spesso si fa riferimento alle varie “scene” cittadine sparse qua e là per la Penisola, in questi ultimi anni è per esempio esplosa Pesaro. Pensate si possa parlare di una scena che opera a Firenze e dintorni, sia a livello di organizzazione ma anche e soprattutto di band?
Andrea: Penso si possa tranquillamente parlare di scena fiorentina in questo senso. I posti dove suonare sono aumentati in questi ultimi anni – penso al Tender nato proprio lo scorso anno – i gruppi sono molto validi – nominando i primi tre che mi vengono in mente Go!Zilla, The Hacienda e Plastic Man – e, elemento fondamentale, c’è una risposta attiva del pubblico.

DW: Allargando gli orizzonti, com’è in generale la vita del musicista in Italia?
Andrea: Pare che questa crisi globale si stia portando dietro anche le etichette discografiche, costrette a investire meno, in particolar modo negli emergenti.
Per quanto riguarda la musica cantata in inglese poi, essa ha, in generale, sempre vissuto all’ombra del cantato italiano e questo è molto penalizzante per chi cerca di partire da qui per poi espandersi all’estero.

DW: Ecco, parlando di estero: mi avete accennato a inizio intervista la vostra partecipazione ad un festival di Liverpool a pochi mesi dalla vostra formazione. Come è stato possibile questo? Avete avuto modo di suonare altre volte fuori dai confini nazionali e di notare differenze, organizzative e di partecipazione, con l’Italia?
Francesco: L’ultima volta che abbiamo suonato all’estero è stato lo scorso anno in Irlanda. Abbiamo avuto modo di esibirci anche a Londra e altre città inglesi, nonché in Francia (a Parigi col furgone, un’odissea) e per questo dicembre abbiamo già fissato un tour tra Svizzera, Francia, Germania, Olanda, Danimarca e Svezia.
La prima volta siamo stati contattati direttamente tramite MySpace da David Bash, fondatore del Pop Overthrow Festival, il quale ci ha invitati a suonare all’edizione liverpooliana dello stesso, al famoso Cavern Club; noi ancora non avevamo un’etichetta e pensavamo fosse una bufala, poi invece andò tutto benissimo.
Forti di questa esperienza abbiamo iniziato a muoverci un po’ da soli per cercare dei contatti, perché, cantando in inglese, la voglia di confrontarci con realtà extra-nazionali è sempre stata forte.
Per quanto riguarda le differenze: la più grande lacuna dell’Italia, se confrontata con le realtà estere, è la piccola quantità di locali adibiti all’esibizione di gruppi emergenti o comunque provenienti da realtà medio-piccole, in cui la gente è lì con l’intento di ascoltare e non solo di avere un sottofondo mentre si beve una birra. Dunque anche la mentalità del pubblico è talvolta differente. Ovvio che è improbabile poi fare un discorso generale che valga per tutto e tutti.

DW: Domanda più personale: quali sono gli album che vi hanno segnato e che, perché no, hanno contribuito a questa svolta sonora?
Andrea: i grandi classici per me sono The Piper At The Gates Of Dawn dei Pink Floyd e tutta la discografia solista di Syd Barrett; e la parte elettrica del live a Manchester del ’66 di Bob Dylan, ecco questo me lo porterò nella tomba. Ultimamente ho apprezzato tanto Ty Segall e gruppi come Tame Impala e Thee Oh Sees.
Marco: Io personalmente ho ascoltato tanto i Temples, Jacco Gardner e i Tame Impala, anche se poi le parti di batteria di Innerspeaker, che sono incredibili, si rifanno ai grandi maestri quali Ringo Star, Keith Moon e al Nick Mason del primo periodo.
In generale invece ho un’ammirazione incredibile per tutta la discografia di Elliott Smith.
Francesco: A quanto già detto aggiungerei Revolver dei Beatles e Tonight’s The Night di Neil Young.

DW: Ultima domanda: programmi per il futuro?
Andrea: Il nuovo disco, Ghosts, uscirà i primi di aprile del 2014 per Black Candy Records in Italia, Ruby Music in Irlanda e Rough Trade in Inghilterra/Europa. Con un’etichetta di Austin, la Crash Symbols, abbiamo inoltre concordato l’uscita del solo formato cassetta. Per smorzare i tempi di attesa faremo uscire sicuramente un altro singolo.
Per quanto riguarda i live, come già detto, per ora abbiamo fissato a dicembre un tour nel nord Europa e contiamo poi di farne un altro verso marzo.
Speriamo che anche in Italia l’album venga accolto bene e ci si presentino numerose proposte per suonare sul territorio nazionale.

Con la speranza di sentire presto nuovi pezzi e di vederli in azione sul palco, vi lascio con l’ultimo singolo dei Vickers: She’s Lost.