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Torna in Italia la band rivelazione del panorama nord europeo. Per molti una scoperta, ma per me, fanatico dell’Islanda una conferma graditissima! Dopo l’esibizione al Circolo Magnolia dello scorso Settembre, i Samaris si preparano per le due date previste in primavera tra Roma e Ravenna e ci regalano perle di saggezza in questa breve intervista. Li attendiamo e li amiamo sempre di più.

DW: Quando e come nascono i Samaris?

S: Da qualche parte fra il 1993 e il 1994. Ci siamo perse la coppa del mondo USA 1994, quella del rigore sbagliato di Baggio, ma ci ricordiamo la finale della coppa del mondo in Francia del ’98.

DW: Come riuscite ad integrare la parte classica del clarinetto con l’elettronica che sta alla base del vostro progetto?

S: I computer hanno avuto un ruolo centrale nella nascita di Samaris. Veniamo da una formazione classica, ma volevamo provare qualcosa di nuovo e diverso. E ci piace un sacco!

DW: Scegliete volontariamente di cantare in islandese. Una scelta coraggiosa e forse limitante rispetto agli standard europei. Quanto la vostra cultura segna il vostro progetto artistico?

S: Abbiamo deciso di cantare in islandese perché si accompagna molto bene alla musica. Molte persone spesso suppongono che per noi possa rappresentare un ostacolo in termini di popolarità, ma la verità è che consideriamo la voce uno strumento al pari degli altri.

DW: Islanda, terra di fuoco e di ghiaccio. A quale di questi due elementi della vostra terra appartengono i Samaris e perché?

S: Probabilmente siamo più vicini al ghiaccio, per via dei nostri suoni freddi e distanti. Ma si può mai dire: il nostro prossimo album potrebbe suonare come gli Slayer, e allora saremmo vicini al fuoco.

DW: Lo scorso anno sono venuto in Islanda proprio appena prima della chiusura dello storico locale Faktory di Reykjavik e molti artisti erano lì a protestare. Voi cosa ne pensate?

S: Era un locale stupendo, il posto ideale per tante band, un ottimo punto di partenza per iniziare a costruirsi un seguito. È un peccato che abbia chiuso, ha aiutato diverse band a crearsi una presenza dal vivo e a lavorare sul proprio suono. Sarebbe bellissimo se ci fosse un altro locale del genere a Reykjavik, che colmasse il vuoto tra i piccoli club e i locali più grandi, ma al momento un posto del genere non c’è.

DW: Quanti e quali spazi ci sono oggi nel vostro Paese per fare musica?

S: Ci sono molte sale prove a Reykjavik, e credo che molte band abbiano la propria. Noi lavoriamo ancora in cameretta, perché tanto abbiamo poche macchine: comodissimo anche per i tour!

DW: Fare musica in Islanda: un modo per fuggire o per ritrovare sé stessi?

S: Trovare sé stessi, senza dubbio.

DW: Avete un fortissimo impatto scenico, oltreché musicale. Chi cura il vostro outfit ed il vostro look durante i live?

S: Le idee di base e gli outfit originali sono fatti da noi (Jofridur & Aslaug), ma alcuni dei capi più recenti che abbiamo indossato durante il tour di febbraio/marzo erano disegnati da Hildur Yeoman, è una stilista fantastica.

DW: L’album o l’artista che ha cambiato la vostra vita?

S:

Aslaug: Mahler – Sinfonia n.4 – IV movimento

Doddi: Manic Street Preachers – The Holy Bible

Jofridur: Steve Reich – Electric Counterpoint

DW: Meglio la pizza o lo squalo putrefatto?

S: Nessuno mangia squalo putrefatto in Islanda, è una leggenda per spaventare i turisti! A Reykjavik abbiamo più pizzerie che squali!

Ecco una primizia tratta dal prossimo album Silkidrangar in uscita a fine Aprile

Ed il classico dei classici Goda Tungl, che me li ha fatti scoprire casualmente in un negozio di dischi della capitale islandese.