Matteo Vallicelli è un compositore e batterista dal grande talento. Lo scorso 26 Gennaio, noi di Deer Waves siamo andati a trovarlo a Glasgow durante la sua data con Trentmøller, per saperne di più riguardo il suo album di debutto: Primo, uscito il 3 Febbraio sotto Captured Tracks.

DW: Ciao Matteo! Complimenti per il progetto e per il concerto di oggi. Il tuo album dovrebbe uscire a giorni, il 3 Febbraio esattamente..

Matteo: Grazie! Sì, l’album esce tra circa una settimana

DW: Esatto, poi sotto Captured Tracks, roba da poco.. Il tour come sta andando? Quando avete iniziato esattamente?

Matteo: Il tour è iniziato una settimana fa ad Amsterdam e sta andando molto bene. Essendo un’apertura suono solo mezz’ora ed è difficile concentrare tutto in così poco tempo, ma si sta rivelando comunque un’esperienza fantastica.

DW: Beh anche perché tu stai iniziando la tua carriera solista facendo da spalla ad un artista come Trentmøller, il che significherà tanto

Matteo: Infatti stiamo suonando su palchi belli importanti. Stasera in realtà è un po’ più piccolo rispetto ai precedenti, però finora i concerti sono stati sold-out ogni sera, in locali da 1500-2000 persone. È una bella responsabilità trovarsi davanti a un pubblico così vasto e così variegato e sono molto contento del riscontro che ho avuto. Pensavo di beccarmi molti più pomodori in faccia con le cose che propongo, invece sta andando molto bene! (ride)

DW: È vero, il pubblico mi ha sorpreso molto, c’era gente di tutti i tipi

Matteo: Sì, da bambini a persone anziane. È un pubblico da concerto “pop”, non esattamente ciò a cui sono abituato.

DW: Parlaci un po’ del tuo progetto, come è iniziato. Ho saputo che sei stato a Berlino e che lì ci sia stata la svolta che ha dato vita a questo progetto

Matteo: Nel 2013 mi sono trasferito a Berlino e, per la prima volta in vita mia, non sono stato in grado di trovare nessuno con cui formare una nuova band. In primis perché ero molto spesso in tour con i Soft Moon, quindi passavo poco tempo a casa, poi perché è una città dove è facile perdersi di vista. È un porto di mare dove la gente va e viene. Inoltre se pensi a Berlino in termini di scena “indie” non c’è un granché. Non è come Londra, Los Angeles o New York, o la stessa Roma. Si basa più sulla techno, i dj e l’elettronica; personaggi che stanno da soli insomma. In parte per questo, e in parte per la voglia di novità, mi son preso un sacco bene a comporre musica da solo. All’inizio usavo solo il computer, anche se dopo pochissimo tempo l’ho abbandonato perché mi annoiava: essendo batterista era completamente l’opposto per me. Mi sono quindi avvicinato alla strumentazione analogica, ai sintetizzatori, e c’ho avuto un bel po’ da fare perché ammetto che agli inizi non sapevo quasi niente di quel mondo e quindi ho dovuto farmi una cultura a tuttotondo, diventando pian piano un “synth-nerd”. Finché ho trovato un mio suono e mi son ritrovato con dei pezzi che avevano finalmente senso l’uno con l’altro…

DW: Ti volevo appunto chiedere delle tue influenze. Ho visto che Michelangelo, il tuo primo singolo, e l’artwork con la sua mano, ricordano molto l’artista italiano, la Creazione e le due mani che si incontrano. Anche il video di Giungla Elettrica, il tuo personaggio che ricorda molto un Mastroianni nei film di Fellini. Da dove hai preso l’ispirazione per questi brani?

Matteo: Sicuramente dalla cultura italiana. Michelangelo in realtà è un rimando a Michelangelo Merisi, ovvero Caravaggio. Mio padre è insegnante di storia dell’arte e sono cresciuto in mezzo a quadri, stampe, visite ai musei… In qualche maniera è un background che mi tirerò sempre dietro. Per quanto riguarda Giungla Elettrica, sono felice che hai colto il riferimento a Mastroianni perché il video è un po’ un tributo al cinema di Fellini, che è un mio mito da sempre, una figura cardine che in qualche maniera mi ha sempre guidato. E in scala ridotta, ridottissima, mi piace l’idea di essere, come lui, un romagnolo che porta la nostra cultura al di fuori dello stivale. Gran parte dei miei riferimenti e dei miei maestri sono italiani. Abbiamo citato Fellini, Mastroianni; nel campo musicale Nino Rota, Morricone, tutto il rock progressivo italiano, cantautori come Battisti e Battiato… L’Italia ha avuto artisti che ci invidiano in tutto il Mondo. Proprio ieri sera parlavo con un mio amico canadese, Jonah Falco, batterista dei Fucked Up, anche lui, come me, mega fan di library music, e mi citava Daniela Casa, Piero Umiliani… A riprova di come la gente all’estero abbia comunque grande rispetto per l’Italia, mentre noi spesso siamo ignoranti dei tesori che abbiamo in casa.

DW: Infatti stai usando anche il tuo vero nome, niente nomi d’arte

Matteo: Evidentemente era ora di tirare fuori le palle!

DW: Visto che ci siamo, qual’è il tuo film preferito di Fellini?

Matteo: Beh, Amarcord. Se non sei romagnolo è difficile da seguire, perché è tutto in dialetto, ma è un documento storico assolutamente veritiero che rappresenta al 100% lo spirito della Romagna. Ci sono scene e modi di esprimersi che mi sono così familiari che a tratti mi sembra di sentir parlare i miei nonni. È sempre un emozione rivederlo, e ogni volta che parte la colonna sonora inizio a piangere come se qualcuno mi avesse tirato un destro.

DW: Decisamente. Bene, raccontaci adesso la tua esperienza con Captured Tracks. Ti sei avvicinato a loro tramite i Soft Moon e adesso pubblicherai il tuo primo album con loro. Com’è lavorare con una label di questo livello? Anche per il fatto che sia statunitense, hai trovato differenze con le etichette italiane?

Matteo: Beh, sicuramente sulla carta è l’etichetta più professionale con cui abbia mai avuto a che fare. Hanno un ufficio bellissimo e un vero e proprio team. È una piccola azienda. Prima d’ora avevo stampato dischi principalmente per etichette DIY, solitamente piccoli progetti portati avanti con passione da una o pochissime persone. In realtà però non cambia tanto, perché anche loro hanno iniziato così. Il livello di entusiasmo è sempre quello, è gente che ascolta un sacco di musica, e fa uscire quello che gli piace. Se pensi che abbiano prodotto un disco come il mio fa strano, vedendo il loro catalogo. Ed è anche per questo che mi ci trovo bene.

DW: Decisamente. Bene, raccontaci adesso la tua esperienza con Captured Tracks. Ti sei avvicinato a loro tramite i Soft Moon e adesso pubblicherai il tuo primo album con loro. Com’è lavorare con una label di questo livello? Anche per il fatto che sia statunitense, hai trovato differenze con le etichette italiane?

Matteo: Beh, sicuramente sulla carta è l’etichetta più professionale con cui abbia mai avuto a che fare. Hanno un ufficio bellissimo e un vero e proprio team. È una piccola azienda. Prima d’ora avevo stampato dischi principalmente per etichette DIY, solitamente piccoli progetti portati avanti con passione da una o pochissime persone. In realtà però non cambia tanto, perché anche loro hanno iniziato così. Il livello di entusiasmo è sempre quello, è gente che ascolta un sacco di musica, e fa uscire quello che gli piace. Se pensi che abbiano prodotto un disco come il mio fa strano, vedendo il loro catalogo. Ed è anche per questo che mi ci trovo bene.

DW: C’è qualche artista italiano che segui al momento?

Matteo: Credo che gli His Clancyness siano il mio gruppo preferito in Italia ora come ora. L’ultimo LP ‘Isolation Culture’ è stupendo e anche il live è molto ben curato. Nico, il bassista, ha un progetto solista che si chiama Stromboli e sta uscendo con un album incredibile. Poi c’è Lorenzo Senni, romagnolo come me, che ha appena pubblicato un disco allucinante su Warp; Ninos Du Brasil, che sono amici di vecchia data e sono contento di vedere che stiano spaccando. Claudio Rocchetti, anche lui caro amico, che considero un po’ un mio guru ed è stato uno dei primi che mi ha spinto e incoraggiato a intraprendere questa strada.

DW: Che progetti hai dopo l’uscita del disco? Ci sarà un’altro tour dopo questo con Trentmøller?

Matteo: Cercherò chiaramente di portare l’album in giro il più possibile. Per ora non ho un tour vero e proprio ma girerò principalmente nei weekend. Ho un po’ di date confermate in Europa (Forlì, Torino, Milano, Amsterdam, Londra e Lione) e altre in arrivo. Ora sto registrando delle cose con un mio amico chitarrista (Giuseppe Coluccelli) e sto collaborando anche a un paio di brani che finiranno su un album chiamato ‘Grandi Successi’, di Sindaco-Carli Moretti, che si preannuncia una bomba inaudita. Poi vorrei scrivere un altro disco il prima possibile.

DW: Sei già proiettato verso un secondo disco?

Matteo: Eh sì, anche perché mi sto già rompendo i maroni di suonare sempre gli stessi pezzi (ride).

DW: Ti volevo chiedere appunto, continuerai comunque a suonare con The Soft Moon?

Matteo: Certo. Adesso siamo in pausa perché Luis sta lavorando al disco nuovo, che spero uscirà entro fine anno. Non vedo l’ora di rimettere le mani sul live.

DW: Questo album l’hai scritto in un arco di tempo molto lungo?

Matteo: Le versioni definitive sono state completate nel giro di un mesetto ma certe parti che compongono i brani sono state scritte anche a distanza di qualche anno. Ad esempio Michelangelo nasce nel 2014 come pezzaccio con la cassa dritta. L’ho lasciato chiuso in un cassetto per un bel po’ prima di riformularlo così. Anche il pezzo che apre l’album, Frammenti, è il fantasma di un altro brano “techno”. Cose che praticamente nessuno ha mai sentito. Ecco, direi che ci ho messo tanto a trovare una formula (quasi 3 anni), ma dopo di che è il processo di scrittura è filato via piuttosto rapidamente.

DW: È strano come sei passato dall’essere un batterista a ciò che fai ora con il tuo progetto, nel quale i beat quasi mancano.

Matteo: Dopo 15 anni di batteria mi sono divertito a utilizzare strumenti alternativi e a fare musica completamente diversa da quella che ho sempre fatto. Vediamo che accadrà in futuro, non mi voglio precludere niente e non escludo di andare in studio a registrare un disco di sole batterie e percussioni. Sono sicuramente carico di sperimentare nuove idee.

DW: Speriamo bene allora!

Matteo: Sperare male di certo non si può!