Colapesce

Ed è così che ebbi la fortuna di scrivere qualche domanda per un artista tra i più interessanti cantautori italiani degli ultimi anni: Colapesce, nome d’arte di Lorenzo Urciullo.

Ascoltando il suo ultimo album di recente uscita, Egomostro, la sensazione che si prova è quella di saltare da un trampolino nella trasparenza delle sue intimità, nuotando tra riflessioni sussurate e verità scomode all’essere. Marzullate a parte, abbiamo avuto il piacere di scoprire qualcosa in più sul disco, sulla sua attività di musicista, sulla poesia, sul power pop italiano, sui suoi luoghi del cuore, tra ricette sicule, concetti di mediterraneità e grandissimi album anni ’80.

DW: La prima immagine che mi viene in mente quando sento la parola Colapesce è un libro di antologia che avevo alle scuole medie, Fior di Parole. All’interno lessi la leggenda di questo ragazzo, Colapesce, che si immolò per la sua terra, la Sicilia. Per te cosa rappresenta Colapesce e cosa ti relaziona a lui tanto da averlo adottato come moniker? Qual è il parallelismo che c’è (se c’è) tra te e lui?

C: Nessun parallelismo, se non l’amore per la Sicilia. Sono legato alla leggenda perché mia madre da piccolo me la raccontava sempre. La trovo una storia splendida, esistono più di 20 versioni che ho raccolto negli ultimi anni. La costante è il sacrificio di (Ni)colapesce per la terra che ama.

DW: É da poco finito Sanremo, un’edizione definita da stampa e critica come quella “della restaurazione” anche se di musica si è restaurato il nulla. Lo hai seguito? Nel calderone nazional-popolare, che da sessantacinque anni propina (quasi) la solita solfa, c’è qualche canzone che ti è piaciuta? Qual è la tua opinione musicale in merito al pop italiano? In fin dei conti c’è della validissima musica leggera definibile pop come la tua e di tanti altri artisti che non preserva determinati stilemi.

C: Non l’ho seguito, ero in sala a preparare il mio nuovo spettacolo e la sera avevo solo voglia di American Horror Story, che con Sanremo ha parecchie cose in comune. Quindi non so se in questa edizione mi sono perso la canzone del secolo. Ho sentito Il Volo e Anna Tatangelo che reinterpreta Modugno, e non voglio sapere altro. Il nostro pop nazionale mainstream è orrendo, si rifà sempre alle stesse vecchie formule ma con nuove tecnologie. Il risultato è milioni di copie in America (principalmente latina) o nelle periferie dove l’informazione culturale è molto scarsa. Diciamo che è una causa persa, ma facendo questo lavoro per passione non mi lamento assolutamente.

DW: Quale pensi sia l’aspetto più importante di fare musica? Tu la fai per te? Per la gente a cui piaci? Per l’insaziabilità dell’estro creativo dell’egomostro che è in te? Per altri motivi?

C: La faccio perché non ne posso fare a meno, se poi incontra il pubblico e piace ovviamente ne sono strafelice perché mi permette di farlo a tempo pieno. Diversamente non riuscirei a scendere a compromessi. Non sono interessato a diventare un operaio della musica, preferirei fare il postino.

DW: Egomostro rappresenta un atto poetico costruttivo o distruttivo? Faccio riferimento all’accezione che ne fa di questa distinzione Alejandro Jodorowsky: per differenziarne la matrice del fare poesia individua la funzione costruttiva in un peperoncino a cui vengono attaccate due ali, ottenendo una farfalla. Distruttivo l’esatto opposto: hai una farfalla, gli spezzi le ali, hai un peperoncino. Tu che fai? Sei un costruttore o un distruttore?

C: Egomostro è un atto poetico costruttivo, ma parla di distruzione. I siciliani  sono degli ottimi costruttori (per lo più abusivi).

DW: Nell’outro dell’album citi Harold Pinter con la frase con un leggero malessere riconquistiamo la bellezza. Per Colapesce che cos’è la bellezza e come si conquista?

C: Molto marzulliana come domanda. Intanto è importante la prima parte della frase, con un leggero malessere, quindi qualunque sia il metodo di conquista passa anche attraverso fasi di sofferenza. La sincerità credo sia un elemento fondamentale, ma il concetto di bellezza è una cosa talmente effimera e personale che è difficile da spiegare in due righe.

Una strada per la conquista è individuare i propri sbagli e costruirci attorno esperienze gradevoli, forse.

DW: Qual è la tua canzone preferita del disco, quella che quando hai scritto, registrato, mixato, masterizzato e infine ascoltato ti ha fatto sentire sazio e soddisfatto?

C: Mi piacciono tutte, sono come i figli. Sono diversissime fra di loro e ognuna mi piace per motivi diversi. Sono sazio e soddisfatto dell’intero disco.

DW: A proposito di mix e mastering, dove hai registrato l’album? Da chi è stato prodotto? (Sappiamo che l’hai prodotto con Mario Conte, ma non sappiamo molto su di lui, dicci di più! )

C: L’ho registrato fra Torino, a casa di Mario, Bologna e la mia casa a mare a Ognina di Siracusa. Mario Conte è un produttore di musica elettronica molto bravo, con un’esperienza ventennale alle spalle. Il suo ultimo lavoro, Overtones, è bellissimo e sintetizza il suo pensiero di elettronica. Lo consiglio vivamente ai vostri lettori.

DW: Nella lavorazione di questi tre anni, hai detto di aver dovuto fare una grande cernita su un numero che si aggirava intorno ai 30 e più brani scritti. Dobbiamo aspettarci un album B-side nel futuro prossimo? In genere cosa ne fai del materiale che scarti? Continui a giocarci nel tempo, lo ricicli o finisce in discarica?

C: Non so se farò un album di B-side. Alcune, com’è successo con Un meraviglioso declino, le accantono, altre riemergono col tempo, ma la parola riciclo non è adatta. Le canzoni restano canzoni e non hanno scadenze fortunatamente. Ho scritto molto per Egomostro e sono rimaste fuori delle canzoni validissime di cui riprenderò sicuramente qualcosa.

DW: Nella tua discografia ci sono molti tributi ad artisti e mostri sacri della musica  – più o meno contemporanea. Quali sono gli artisti a cui generalmente ti ispiri nella stesura dei tuoi testi?

C: Non scrivo i testi pensando adesso m’ispiro all’artista X, ho tante influenze, ovviamente, ma convergono nei testi in maniera naturale e non programmata. Puoi trovare varie suggestioni nelle mie canzoni, che vanno da Bufalino agli Wilco, ma tutt’altro che mash-up volontari.

DW: Molto spesso ci si dimentica di artisti che, quasi silenziosamente, hanno dato un enorme contributo alla produzione musicale (e non) italiana (e non). Mi riferisco ad Herbert Pagani. Cosa senti quando leggi questo nome?

Un grandissimo artista, autore e musicista sottovalutato. Una frase su tutto sulla Lombardia, “qui il cielo è così basso che insegna l’umiltà”.

https://www.youtube.com/watch?v=D7hsEdtlpaY

DW: In una dichiarazione su Repubblica, riguardo al lavoro che c’è stato dietro a Egomostro, hai detto di aver fatto una ricerca sonora precisa su molta musica del periodo che va tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta, citando artisti quali Napoli Centrale, Talking Heads, Battisti, Matia Bazar. Ti va di consigliarci 5 ascolti sul genere che ti sono stati d’ispirazione nella scrittura e nella produzione del disco?

C: . Remain In Light dei Talking Heads 

     . Don Giovanni di Lucio Battisti

     . Tango dei Matia Bazar

     . Vocazione di Enzo Carella

     . Spirit Of Eden dei Talk Talk

DW: Il 20 febbraio inizia il tuo tour, tra le date il 22 marzo avremo il piacere di vederti esibire qui a Milano per Elita al Teatro Parenti in un doppio live acustico ed elettrico. Cosa vedremo? Come sarà differenziato il live oltre che nel suono? In quanti sarete sul palco?

C: Non ti posso svelare troppo! Saranno due set molto diversi, uno in acustico e più intimo, l’altro più elettrico. Ci saranno degli ospiti e saremo vestiti, come sempre, di rosa.

DW: Domanda sulla tua vita privata in merito alle molteplici difficoltà esistenziali di fare il musicista: campi di musica o fai anche altro?

C: Al momento campo di musica facendo anche altro a parte Colapesce, nello specifico il produttore artistico (di recente ho prodotto, insieme a Mario Conte, Alfio Antico ovvero un pezzo di storia della musica popolare mondiale, e Alì un giovane e promettente cantautore siracusano) e ogni tanto collaboro con Quiet Please di Ferdinando Arnò che si occupano di pubblicità. Ferdinando è stato anche il mio primo editore, una persona acuta come poche.

DW: Sulla tua terra: se la tua musica fosse un luogo delle tue parti, che posto sarebbe?

C: Ognina, una costa di scogli situata vicino Siracusa,  a ridosso dell’area marina protetta del Plemmirio. Sono nato e cresciuto in quelle acque.

DW: E sempre rimanendo in tema, la tua ricetta preferita di cucina sicula da consigliare ai nostri lettori?

C: La pasta alla Norma. Pomodoro, melanzane fritte, ricotta salata e basilico.

DW: A proposito di cibi, frutta e verdura: ti compensa la papaya/ le difese immunitarie, che è un frutto molto buono e ricco di vitamine ma al tempo stesso un richiamo esotico, che è l’immagine più azzeccata per descrivere le sonorità del tuo album. Oltre ciò, è un concentrato di mediterraneità, parola che spesso in Italia rimanda a pizzica e tarantelle, ma nel tuo background cosa c’è dietro la parola mediterraneo?

C: La Papaya è un ottimo antiossidante ed ha un suono bellissimo, andava inserita da qualche parte! Nel mio mediterraneo c’è Rosa Balistreri, Buttitta, Alfio Antico, Bufalino, Pirandello, Battiato, Verga, e anche molta Africa, non quella del djembè suonato alle sagre.

DW: Nell’attuale panorama musicale cosa stai ascoltando? C’è qualche artista con cui ti piacerebbe collaborare?

C: La musica italiana gode di ottima salute. É uscito da poco l’ottimo lavoro dei Drink To Me, Populous, Cesare Basile, Rachele Bastreghi, a breve uscirà Iosonouncane, Alì, I Quartieri… Mi piacerebbe collaborare con Battiato.

DW: Hai mai ascoltato la canzone Tre metri sopra al cielo del giovane talento Forced accompagnato da Niko? Ora ascolta la tua Talassa. Noti qualche somiglianza?

C: Non l’avevo mai ascoltata, spero non mi denuncino per plagio, soprattuto il feat. di Niko, brividi e grandi emozioni. Un flow micidiale.

DW: I primi due video dei singoli estratti dall’album, Maledetti Italiani e L’altra guancia, sono stati girati dal collettivo siciliano di Ground’s Orange. L’idea dei soggetti è stata tua o di entrambi? Raccontaci qualcosa sui video.

C: Maledetti Italiani era un’idea mia e di Emiliano Colasanti, ma Zavvo Nicolosi del collettivo Ground’s Orange l’ha sviluppata al meglio, trovando anche il protagonista, che è stato l’elemento fondamentale per la riuscita del video. Per l’altra guancia invece l’idea è di Zavvo. É un regista molto talentuoso e farà tanta strada, ormai collaboriamo in pianta stabile, c’è una grande stima e sicuramente faremo tanti progetti insieme. Una menzione speciale va a Jacopo Saccà detto Gnomo, superdirettore della fotografia Ground’s Orange.

Colapesce – Maledetti Italiani

Colapesce – L’altra Guancia

DW: L’intervista è finita ma prima vorremmo toglierci una curiosità in redazione: ma, alla fine, se lo sono presi il silenzio? :)

C: Non ancora, ma arriveranno presto.