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Sono giovani, italiani (de Roma) e il loro primo album, a differenza di Sanremo, è piaciuto un po’ a tutti.  Se quindi chi ben comincia è a metà dell’ opera, il buongiorno si vede dal mattino e i principi sono sempre i più difficili (ne trovate altri interessanti su internet), possiamo, dopo un primo album del genere, aspettarci solo grandi cose dai Boxerin Club.
Intanto che le aspettiamo, e ci lecchiamo ancora i baffi per Aloha Krakatoa, qualche domandina era d’ obbligo fargliela. Come al solito con poche sviolinate ed un filo di ironia.

DW: Eccoci. Le fanzine italiane fanno sempre le capriole in aria e i salti di gioia quando recensiscono un disco come Aloha Krakatoa. Qual è la cosa più bella che hanno detto di voi fino ad ora?

BC: Devo dire che siamo molto fortunati, perché la critica ha risposto con grande entusiasmo al nostro primo lavoro. Sono molte le cose belle che hanno scritto su di noi… Sicuramente ci fa molto piacere quando ci trattano come un gruppo estero.

DW: Quanti anni avete?

BC: Di media 23.

DW: Cosa fate nella vita? A parte scrivere album d’ esordio, suonare in giro e vendere cd?

BC: Due di noi sono al conservatorio, uno di noi ci si é già diplomato e gli altri due frequentano l’ università.

DW: Come va con la vendita dei cd? Quel è la strategia per smazzarli ai concerti?

BC: Ahahahah… Non c’è una particolare strategia, di base bisogna essere molto gentili e disponibili. Certo, se hai fatto un concerto pessimo non serve a niente, perché la gente neanche si avvicina al banchetto. Devo dire che a noi ci sta dicendo bene.

DW: Avete suonato un po’ ovunque in Italia. C’è un locale, un caffè, un circolo culturale sul cui palco desiderereste particolarmente finire?

BC: Devo dire che dopo Arezzo Wave è difficile per un gruppo piccolo come noi chiedere di più, ma se c’è un palco sul quale vorremmo davvero esibirci è quello del MiAmi Festival di Milano… Senza dubbio. E’ un evento importantissimo per la musica indipendente italiana.

DW: Un disco per gli anni ’60, uno per i ’70, gli ’80 e così via fino al disco più bello che hai sentito ultimamente.

BC: Bella domanda! Purtroppo è impossibile non cadere nei classici, ci sono tantissime cose che mi piacciono di quegli anni (soprattutto nel jazz) ma credo che non abbiano la portata storica dei dischi che sto per elencare. Anni 60: The Beatles-White Album. Anni 70: Pink Floyd-The Dark Side of the Moon. Anni 80: Paul Simon-Graceland. Anni 90: Nirvana-In Utero. Anni 00: The Strokes-Room on Fire. Ultimamente mi sono appassionato molto al disco di David Byrne & St.Vincent-Love this Giant, piuttosto che con Robert Glasper Experience-Black Radio o con i Dirty Projectors di Swing Lo Maggellan. É difficile stilare classifiche, perchè ascolto veramente di tutto tutti i giorni.

DW: A chi sta leggendo l’ intervista e, arrivato alla fine, si sente l’ album e va fuori di testa per voi, quali must consigliate di ripassare? La prima cosa che ho fatto dopo aver sentito l’ album è stata scrivere su google: “talking heads totally nude”. Che detto così non suona bene, ma lui ha capito dove volevo andare a parare.

BC: E hai fatto benissimo quello è forse il più bel pezzo di uno dei miei dischi preferiti in assoluto, ovvero Naked.

DW: Allora non mi sono fatto viaggi sull’ influenza di quel disco su di voi! Voi come viaggiate invece? Ryanair? Pulmino? Con la fantasia? Raccontami un po’ di come andate a pescare questi sound caraibici che ci carnevalizzano il cervello.

BC: Quando ci dice bene viaggiamo con la fantasia, altrimenti ricorriamo al caro vecchio furgoncino, comunque in ogni caso viaggiamo per sfuggire dal nostro contesto quotidiano, che tra l’altro è lo stesso sentimento che abbiamo cercato di provocare nella mente dell’ascoltatore.

DW: Qual è la storia del titolo dell’ album? L’ ho trovata nel profondo di internet, ma fingo volentieri di non saperla.

BC: Un giorno sono inciampato nella storia di questo vulcano indonesiano (appunto sull’ isola di Krakatoa, ndr) che durante la sua ultima eruzione (avvenuta a fine 800) provocó il suono più potente mai registrato sulla faccia della Terra. Sembrava un’ ottima metafora per descrivere il nostro sound attuale, poi ci piaceva troppo come suonava, ci sentiamo estremamente rappresentati da questo titolo!

DW: Ti ho fatto un sacco di domande fighe ma quello che tutti vogliono sapere è cosa vuol dire incontrare Puff Daddy (aka P.Diddy, Niddy, Puffy o solamente Diddy) tutto fatto per strada a NY che ti chiede: hey amico, mi strimpelli qualcosa?

BC: È veramente difficile da spiegare… Un’ esperienza che porteremo con noi per tutta la vita. Ricordo che appena abbiamo finito di suonare per lui e di fare un paio di interviste per qualche video maker che stava lì intorno a lui, alcuni di noi si sono buttati a terra dalla gioia, una botta di adrenalina oltre ogni limite e totalmente inaspettata! Se ce lo avessero detto a Roma non vi avremmo mai creduto.

DW: Tra l’altro dal video che ho visto su Youtube sembrava che lui si promuovesse attraverso voi, e saresti portato ad aspettarti il contrario. Evidentemente gli siete davvero piaciuti. Come è andata la storia? Vi ha lasciato cash nel cappello?

BC: Stavamo tornando a casa dalla nostra prima esibizione newyorkese, al CMJ Music Marathon, sbagliando fermata della metro siamo usciti per capire dove eravamo e ad un tratto si presenta lui, circondato da fotografi e video maker, e ci chiede di suonare un pezzo per lui in quanto stava promuovendo un nuovo canale musicale, tale “Revolt”, che si occupa principalmente di Band emergenti ed è totalmente prodotti da lui. Dopo la nostra piccola strimpellata, lui inizia a complimentarsi con noi, ad abbracciarci, mentre diceva alle telecamere: “Vedete? mi basta girare l’angolo per incontrare una band emergente!”. Quando siamo tornati a casa non sapevamo come raccontarlo ai nostri amici…

DW: A Brooklyn vi siete fatti ospitare da una pittrice di nome Charlotta Janssen. Mi piacciono i suoi lavori, e lei mi sembra assolutamente fuori di testa. Come è successo e come è andata la convivenza?

BC: Lei è estremamente creativa e totalmente immersa nella scena underground statunitense in generale, è stato molto utile e istruttivo passare 8 giorni a stretto contatto con lei, perché ci ha fatto assaporare la vera vita di un artista a NY, ci ha dato molti consigli e si è anche appassionata alla nostra musica, tanto che alla nostra ultima serata è venuta anche a sentirci! Anche in questa cosa ci siamo un po’ cascati dentro, nel senso che a Roma cercavamo un appartamento da prendere in affitto per quei 7 giorni a Brooklyn e il suo ci sembrava molto conveniente.

DW: Qual è la domanda a cui è più difficile rispondere in un’ intervista?

BC: Quali sono i nostri album preferiti.

DW: Su questa ci sono andato pesante allora, dato che te li ho anche fatti smistare per decadi. Grazie per l’ intervista, spero vi arrivino un sacco di royalties da tutti gli ascolti che mando in loop su Spotify. A presto! non vedo l’ ora di sentirvi live.

BC: Ahahahah! Grazie a voi dell’opportunità, è stato molto divertente! Ci vediamo presto!