Giovani producer crescono.

“Islands”, questo il titolo dell’album d’esordio del giovane Adam Smith; otto tracce, otto piccole isole, sagome sfuocate in un mare che non appartiene a questo mondo. Adam vive a Londra, ha da poco compiuto ventun anni; di cose nella vita ne ha già fatte tante, film-maker per passione, collabora come produttore a diversi progetti musicali, remixa pezzi di artisti come Florence + The Machine, Hot Chip, Lana Del Rey e The Weeknd, rilasciando tra il 2010 e l’inizio del 2012 una serie di unofficial bootlegs.

Arriviamo al Marzo di quest’anno, esce “Islands”. Il giovane Smith racchiude in poco più di venti minuti un bagaglio emotivo di cui verrebbe spontaneo chiedersi la provenienza vista la giovane età dell’artista. Ci siamo, un viaggio alla riscoperta dei ricordi più nascosti, un’intensità che può arrivare a far male. L’album si apre con l’omonima “Islands”, pezzo di punta della produzione, un’incontro tra idm e la chillwave più oscura; echi lontani di bambini si rincorrono nel grigiore della periferia, mentre Adam, seduto su un marciapiedi, ci invita a scendere sotto terra con lui. Con “Hollow Bones” si comincia ad intravedere qualche raggio di sole; il mood si alza, una soffice cantilena sullo sfondo, sintetizzatori colorati fanno uscire l’arcobaleno tra i palazzi. Parte “These Shore”, calano le luci, il pianoforte solo sul palco, echi lontani di un uomo e di una donna si cercano; questo è forse uno dei migliori pezzi dell’album, dannatamente dark, dannatamente triste, dannatamente bello. “1995”, protagonista un insistente riff dal retrogusto 8bit, bel pezzo, ma non tra i migliori. Atmosfere lunari, arriviamo a “Moon Lake”; brano strumentale, in lontananza qualche sospiro tra melodie eteree e sognanti; attimi di tranquillità. Ultima parte del disco; “Dream”, l’intro di chitarra lascia spazio alla traccia più “classic-wave” del disco, meno sperimentalismi e tanta chill tra ondeggianti melodie. “Open Up”, groviglio di suoni elettrici, il tiro cala, poca melodia, richiede un secondo ascolto. Ultimo pezzo, “Coming Home”, il personale saluto di Adam; il viaggio è finito, si torna a casa. Credo che “Islands”, seppur nella sua brevità, rappresenti quello che un debut-album dovrebbe essere per ogni emergente , ossia un viaggio emotivo in cui veniamo guidati alla scoperta dei vissuti, un racconto fatto musica che permette all’artista di dire “questo sono io”.

Purtroppo artisti come il giovane Smith troppo spesso non vengono considerati come un prodotto degno di avere visibilità nel mercato attuale;  “Scusa Adam sei troppo poco hypster”, “”Adam ti avevamo detto di inserire i sedicesimi indi nella traccia 2,cazzo”, “Adam DOVE CAZZO SONO I TRIANGOLIIIIIII??!!”.

“Hype” è moda, novità, mistero; alcune volte “hype” si rivela essere merda, altre volte rivelazione.

Adam ti voglio bene

Adam Smith – Islands