Il mondo è una giungla per i cuori gentili.

Per i sentimentalismi, le dediche alla finestra, le foto editate col filtro Sierra di Instagram. In un regno di trap-boys che hanno i soldi sulla lista delle cose da fare, le chitarre sono relegate in quell’angolo di musica ripartito fra i superstiti di shoegaze e post-punk e gli adepti del neonato it-pop (come se di un genere esistente si potesse parlare): da un lato la sostanza, dall’altro il potere inventivo del web ed i quindici minuti di gloria per brevissimi fenomeni.

Se l’aritmetica mi ha insegnato qualcosa, è che una frazione sia la divisione fra uno o più numeri. Frammentando quello stesso spiraglio artistico in cui le chitarre ristagnano come gli avanzi nel frigo di un fuorisede in più e più elementi, ce n’è uno che ha destato attenzione sin da subito, riunendo l’approvazione del ramo emo, di quello indie e di quello di chi dell’indie non ne può più – ma un concertino ogni tanto, in memoria dei vecchi tempi…

Luca Galizia è l’ex leader dei LEUTE, quartetto di stanza a Milano che ha debuttato due anni fa su Legno con l’album 9 Songs, completamente autoprodotto e registrato al centro dei boschi lombardi. Il sound è quello degli American Football, il tema la difficoltà espressiva dell’animo e di quel che si tenta di tradurre in parole. Dietro Legno c’è Jacopo Lietti, che a Galizia ha dato fiducia immediata non soltanto nella lavorazione del disco, ma nel prestare la propria penna a liriche in cerca d’autore come personaggi pirandelliani. Il frontman dei Fine Before You Came ha qualche anno in più di Luca (classe ’95), divario che evidenzia la sfida ed il fascino di ideare testi carichi sì d’emotività, ma vissuta da un ventenne che si immerge in un quotidiano esistenziale in parte ancora inesplorato. La creatura di Galizia è complessa e costruita a più mani, contribuendo al progetto anche Adele e Juju degli Any Other e alla produzione Molteni (Tre Allegri Ragazzi Morti), founder de La Tempesta Dischi: fra i grattacieli del capoluogo lombardo non si erge Godzilla, ma Generic Animal, “un nome impreciso per una bestia che non esiste“.

Milano attende la data al Circolo Ohibò in un tiepido Giovedì, preannunciandosi affollata dato il sold out raggiunto con quella dello scorso Gennaio alla Santeria Paladini (testimoni narrano di centinaia di avventori rimasti fuori delle porte chiuse). A precedere l’enfant prodige i bolognesi Tersø, che cantano in italiano l’EP L’Altra Parte – debutto recente sulla stessa etichetta di Bruno Belissimo e Yombe, offrendo un biglietto da visita promettente. L’Ohibò è una venue buia, piuttosto spaziosa e dal cuore centrale, assestato il palco un po’ più in alto della platea ad aiutare la visibilità dei poveri presenti di bassa statura, rei di finire in fondo alle file che – come previsto – si fanno numerose a riempire la sala. Galizia e il sodale Johnny DJ occupano lo stage con sufficiente timidezza, quanto basta a intenerire, senza risultare stucchevoli e caricaturali: sono giovanissimi, sono emozionati, l’album di Generic Animal non è neanche stato pubblicato, eppure i pezzi sono intonati all’unisono.

Che la viralità sui social abbia aiutato questo lavoro a diffondersi è innegabile, rimbalzando da una bacheca all’altra beneficiando del lascito dell’era post-Calcutta. Ci sono tracce pop, ci sono tracce emo, altre acoustic pop ed altre persino hip hop, guardando alla metrica e al beat: Alle Fontanelle è la Gaetano del caso di specie, con la differenza di racchiudere in sé non la ripetitività di un ritornello che diventa tormentone, ma frasi susseguite in un loop che dipingono il tormento interiore di un ragazzo, gomitolo attorcigliato all’altezza del petto che si incastra provando a risalire la gola. Trenord è un ulteriore instant-classic, ode al coraggio di non ricadere nella tentazione di cercare l’amore quando l’amore ti ha messo da parte; arriva Tsunami, il cui video è stato curato dai guru di NO TEXT Azienda (per capirci, gli stessi che hanno collaborato con Virgil Abloh al video di Lil Uzi Vert). Non ci troviamo davanti ad un esordiente inesperto, ma ad un interprete che alle spalle può vantare un collettivo di artisti del panorama nazionale che se sta scommettendo su di lui, avrà le sue buone ragioni. Il Galizia autore emerge negli inediti Aeroplani, Gattino e Camper, collocati a metà della scaletta – che si ricalca soltanto nel bis di Tsunami. C’è anche il tempo di un’inattesa cover, Like A Ritual dei Title Fight, ché le radici emo/hardcore non si rinnegano mica.

La dote di Generic Animal è quella di aver portato una ventata di freschezza in un deserto di noia. L’incarico è prezioso, la responsabilità elevatissima: non accadeva da un po’ che un progetto a rischio di nazional-popolarità incontrasse il favore univoco della critica quanto a sincerità e livello. L’augurio per Generic Animal è che, spiccato il volo da un nido così solido, possa tenere alta la quota conservando il successo che, ad oggi, totalmente merita.