CIMG2975Mettere per iscritto quello che è stato un concerto come quello di ieri sera, soprattutto così a caldo, soprattutto con le orecchie che ancora pretendono delle scuse, è difficilissimo. Soprattutto perché il concerto di ieri è stato un’esperienza sensoriale unica e indimenticabile, ma i difetti non sono mancati, anche se sono stati proprio i difetti a rendere così unico il concerto dei My Bloody Valentine all’Estragon, il loro primo concerto italiano.

Il primo difetto riscontrabile è quello dei volumi: bassi per gli standard della band (tappi assolutamente non necessari, tranne per qualche miserabile lamentoso delle prime file), ma alla fine questo difetto diventa anche il più grande pregio. Si riesce infatti a godersi tutto il concerto senza tappi, senza perdersi una frequenza del frastuono celestiale, arrivando, nei punti più ardui, al limite massimo della soglia del dolore, ma senza mai oltrepassarla.

Altro dettaglio che la plebe ha additato come un difetto è quello del mixaggio. La chitarra di Kevin Shields era assolutamente predominante su qualsiasi altro strumento sul palco, voce compresa (quella della bellissima Bilinda Butcher è quasi totalmente udibile, ma quella di Kevin spesso è impercettibile). Vengono così a mancare i perfetti amalgami sonici che hanno reso Loveless un capolavoro, ma le intenzioni del mastermind Kevin sono proprio queste e pare scontato che la sua chitarra debba essere la protagonista incontrastata, con almeno una quindicina di materiale di amplificazione tra ampli combo, casse e testate-cassa, contro la scarsa decina complessiva del resto delle chitarre (della bellissima Bilinda, della bassista Debbie Googe e della sessionwoman tastierista/chitarrista).

L’eccessivo protagonismo di Kevin regala quindi armonie paradisiache e frequenze infernali nel binomio iniziale I Only Said e When You Sleep, per l’esaltazione generale, e nelle seguenti New You e You Never Should, ma lo espone pericolosamente durante il secondo quarto di concerto, durante il quale Kevin pare sentirsi poco bene. Da Honey Power a Only Shallow la situazione pare iniziare a farsi disastrosa (fatta eccezione per la toccante Cigarettes In Your Bed, uno dei momenti più preziosi dell’esibizione): il riff di Honey Power è quasi sconnesso in certi punti, le primissime note del solo di Only Tomorrow sono suonate un tono più in alto con effetto quasi imbarazzante, su Come In Alone si perde per strada la prima nota e su Only Shallow entra fuori tempo (non intaccando comunque l’estasi delle parti cantate di queste ultime due). Ok, Kevin, hai appena compiuto cinquant’anni, ti si potrebbe perdonare qualche momento di malessere (perché era evidente che stavi male), ma a questo punto del concerto per un fanboy come me sentirsi disorientato e un po’ deluso e incazzato è normale. Anche perché prima del concerto Kevin si era mischiato alla plebe prestandosi a fotografie con gente brutta.

Con Thorn però inizia la seconda metà del concerto e si entra nel vivo di quella che sarà fino alla fine un’esibizione perfetta, mettendo anche alle prime file il brio necessario per iniziare un pogo tanto contenuto quanto immancabile. Con Nothing Much To Lose, poi, si risveglia la bestia insita in Colm Ó Cíosóig, che inizia a dispensare alla folla le sue rullate impazzite. Prende poi parola per la prima volta Kevin che dice “We’re gonna play a song” (non dirmi) e partono con Who Sees You, eseguita per la prima volta in assoluto dal vivo.

To Here Knows When e Soon sono la manifestazione dal vivo del miracolo di Loveless. Dovrà passare molto tempo perché io trovi le parole per descrivere cosa si provava lì a due passi dall’impianto e dal Paradiso. Poi giù nell’inferno con la supersonica Feed Me With Your Kiss, seguita a ruota da You Made Me Realise, dove si scatena il secondo pogo (più sostenuto) che mi spedisce in transenna, direttamente davanti all’altoparlante che stava sotto Kevin. Lì vivrò l’Holocaust Session, la sessione di rumore infernale che come sempre è racchiusa in You Made Me Realise. Non saprei dire se è durata cinque o cinquanta minuti, ma lì davanti, senza tappi, resistendo al dolore senza mettermi le dita nelle orecchie come gli inutili esseri inferiori che mi circondavano, ho visto Buddha e si chiamava Kevin. Si chiude con Wonder 2 con tutti i My Bloody Valentine al gran completo con Fender Jaguar sotto braccio. Ma tanto si sentiva solo Kevin.

Alcuni diranno che Kevin Shields cambiava chitarra ad ogni canzone, che molte delle chitarre erano glitterate, che un ragazzotto ha fatto stage invasion e ha abbracciato la bellissima Bilinda mettendosi a piangere e rischiando di rovinare il mood, che La VoCe ErA tRoPpO bAsSa, che ci sarebbe dovuta essere più gente, che non hanno fatto Sometimes. Io dico solo che Bilinda sei la donna migliore del mondo il tuo sorrisino sensuale perenne è l’unico motivo per cui vivo ti vorrei sposare se ti va e poi, cazzo, non s’è visto manco mezzo pedale. Chissà che c’avevano là sotto. Per il resto è stato un biglietto di sola andata per un’altra dimensione. Quella della sordità.

∞/10