Gli Hotelier sono arrivati alla prova più difficile: dopo It Never Goes Out e quel gioiello di Home, Like No Place is There hanno forgiato un altro pezzo pregiato, dal titolo Goodness. E indovinate un po’? Esatto, anche questo lavoro brilla di luce propria. E che luce.

Quando uscì il trailer di Goodness ero a casa, nel bel mezzo del mio ozio settimanale. Eccitato e irrequieto per la notizia, mi precipitai a guardare il video. Contrariamente a quanto potessi aspettarmi, si presentò, alle mie orecchie, una chitarra acustica dolcissima per un brano di tre minuti scarsi e, ai miei occhi, un video dal messaggio piuttosto criptico, quasi senza senso.

Goodness Pt.1 è la canzone che anticipa il nuovo disco del trio del Massachusetts e il video, diretto da Charlie Cole, rappresenta forse la più semplice celebrazione della vita, intesa come il susseguirsi degli eventi, il trascorrere del tempo. Banalmente: nascere, crescere, invecchiare e poi chissà. Temi già ampiamente affrontati in passato in quasi tutta l’interezza di Home, Like No Place is There. Temi da cui, evidentemente, Chris Holden difficilmente riescere a rimanere lontano.

Goodness si inserisce in un momento storico estremamente fiorente per la musica Emo. Le recenti uscite (Pinegrove, Modern Baseball, Tiny Moving Parts su tutti) e quelle in programma per il futuro prossimo confermano la ribalta di un genere spesso confusamente mal considerato, perché riporta alla mente la triste adolescenza dei mid-00’s, fatta di Tokio Hotel e polsini a scacchi, ma che, a dire il vero, è ricco di qualità. Non che gli Hotelier avessero bisogno di dimostrare qualcosa, le loro enormi capacità artistiche sono ormai un dato di fatto. Si tratta pur sempre di un gruppo che ha tirato fuori, nel 2014, un album che è ad oggi da considerare un capolavoro di questo genere.

N 43° 59′ 38.927″ W 71° 23′ 45.27” è la opening track: un monologo di un minuto scarso che ci dà il benvenuto e ci accompagna alla scoperta di questo disco. Più che il monologo in sé, interessante è il titolo della traccia. Una coordinata geografica, al pari di altri due “brani” (N 43° 33′ 55.676″ W 72° 45′ 11.914″ e N 42° 6′ 3.001″ W 71° 55′ 3.295″) – o, per meglio dire, due interlude – presenti in tracklist. Non ho potuto fare a meno di googlare e, nei primi due casi mi sono ritrovato disperso nel New Hampshire, nel terzo caso in Massachusetts, tra decine e decine di laghi. Chissà cosa voleva dirci Chris con questi titoli enigmatici. Probabilmente voleva solo tenere conservati nella sua memoria luoghi e cose vissute/viste negli anni. E in effetti, a ben vedere, è proprio questo il concetto espresso dal video di Piano Player: magari queste coordinate sono riprese proprio in questo video, sarebbe una cosa davvero affascinante.

Piano Player, già accennata, è il terzo brano in tracklist, il primo in effetti ad anticipare l’uscita del disco. Ed è proprio quello che ci si aspettava dagli Hotelier: chitarre energiche, batteria ossessiva, ritornello ammiccante – con l’aggiunta, però, di un tanto inusuale quanto efficace coro in background. Stesso copione di Goodness Pt.2, che riprende totalmente le sonorità di Goodness Pt.1, alzando tonalità e inserendo una batteria claustrofobica e una chitarra a tratti asfissiante. Un brano strutturalmente perfetto, sofisticato e semplice allo stesso tempo, con un testo estremamente poetico e pungente (When this began this was a thing that we could both share. A bit of shade the goodness fades and we begin there) che ci prende per mano e ci porta alla scoperta di Goodness.

La qualità dei brani è immediata: la triade Two Deliverances, Settle The Scar e Opening Mail From My Grandmother, inserita proprio tra i due interlude, è una vera e propria delizia per l’udito. Brani che non mancano di nulla. Arpeggi, riff, estenuanti crescendo che stringono il cuore, testi melanconici, introspettivi, brillanti. La voce di Christian, poi, è sempre calda, emozionante. Ogni testo sembra- ed è – suo. È parte del suo essere, è un frammento della sua vita, che si tratti di sé stesso, di un suo amico o di un membro della sua famiglia. Soft Animal, poi, è il brano più energico e arrabbiato dell’intero disco con chitarre e batteria che al pari di Goodness Pt.2 e Piano Player donano un vigore unico che unito ai testi (in particolare al ritornello – Make me feel alive, make me believe that I don’t have to die – che inevitabilmente riporta la mente alle tematiche di Home) producono 4 minuti estremamente seducenti. La coppia Sun e You In This Light, due brani schematicamente simili tra loro, porta avanti il filone della luce e della continua ricerca di uno spiraglio al quale puntare lo sguardo: se in Home la rassegnazione la faceva da padrona, in Goodness c’è spazio per la speranza.

Quaranta minuti di ascolto se ne sono già andati, quando parte Fear of Good, in cui la voce di Chris ci canta la sua paura di affrontare ciò che realmente desidera (A message to my brother sky, I long to hold your hand tonight but when up against this summit’s height I’m tense, I’m small, I’m speechless. And I’m freezing.). Questo è il preludio a una trionfale conclusione, rappresentata da End of The Reel. Un brano indescrivibilmente intenso, con un arpeggio à la American Football, un crescendo ansiogeno, un testo paurosamente introspettivo e insicuro (I don’t know what I want what I want is where I’ve been.), un’esplosione di suoni che colpisce al cuore, ogni maledetta volta. Mozzafiato, come la batteria che segue il brano.

Neanche un momento di noia, neanche una sbavatura, neanche un calo.

Goodness è semplicemente la prova tangibile che qui si ha a che fare con quella che è, con grande probabilità, al pari dei TWIABP, la band più importante e originale del panorama alt-rock/emo attualmente in circolazione.

Tracce consigliate: End Of The Reel, Soft Animal, Piano Player