There is light but there’s a tunnel to crawl through
There is love but it’s misery loves you
There’s still hope so I think we’ll be fine
In these disastrous times

Scott Hutchison dei Frightened Rabbit non aveva mai fatto mistero dei suoi demoni. Riusciva sempre a catturarli laconicamente in qualche verso e annegarli nell’alcool, ma in fondo alla bottiglia c’era sempre un piccolo lume a riportarlo a casa.

Laconico è stato anche negli ultimi momenti, prima di lasciare il suo albergo a South Queensferry, poco fuori da Edimburgo.


Le ricerche erano partite da subito con un appello della band, che ne descriveva la condizione come ‘fragile’. Sono stati due giorni brutti ed i timori peggiori sono adesso realtà.

The Midnight Organ Fight, il secondo album della band, aveva compiuto 10 anni proprio ad aprile ed era forse proprio per questo che negli ultimi tempi continuavano a girarmi in testa le immagini vivide di quello che considero uno dei migliori breakup album degli anni zero. La scrittura è arrabbiata come quella di chi ha lasciato e si è pentito e a questo punto non ha che da maledire se stesso, di chi cerca un altro corpo con cui scaldarsi (The Twist) ma sa anche che sarà solo una soluzione temporanea (Keep Yourself Warm).

Per registrare l’ultimo album Painting of a Panic Attack, i Frightened Rabbit si erano trasferiti oltreoceano, e anche qualcosa nel sound era cambiato – meno grezzo, meno arrabbiato. Eppure la penna di Scott Hutchison era rimasta la stessa: precisa e lacerante, lucida nel vivisezionare le notti insonni e alcoliche, il desiderio di alienazione e di autodistruzione che c’era già in The Midnight Organ Fight. Una scrittura di eccessi che riusciva a raccontare con urgenza i demoni dell’ansia e della depressione, ma che li dipingeva minimizzandone i contorni, proprio perché nascosti dietro agli eccessi del racconto della cornice.

Conoscevo da tempo i Frightened Rabbit, eppure sono arrivata a capirli solo dopo aver vissuto in Scozia. La Scozia in un certo senso è molto più che un posto – è quasi uno stato d’animo. È di una bellezza pietrificante, che si porta addosso un velo di inspiegabile malinconia. È una malinconia statica e onnipresente, ma che impari ad accettare con molto alcool e senza mai trasformarla in un dramma a vele spiegate. È un po’ questa la cifra stilistica di band come Frightened Rabbit, Arab Strap, e in modo diverso anche Mogwai e The Twilight Sad: la sofferenza c’è, ma è più nelle atmosfere, nella rabbia e nell’urgenza della narrazione piuttosto che in un verso o una strofa a sé stanti.

La prima e ultima volta che ho visto dal vivo Scott Hutchison non vivevo più in Scozia, ma nel sud dell’Inghilterra, dove la magia scozzese viene purtroppo un po’ a mancare. Più che il concerto in sé ricordo con nostalgia l’affabilità di Scott durante un in-store acustico a qualche ora dal vero concerto: un simpaticone dall’accento pesante e coi demoni nascosti evidentemente con cura, disponibile ad accogliere qualsiasi richiesta. Eravamo in pochi, ma cantavamo tutti insieme.

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La morte di un cantautore (soprattutto di uno che non ha mai nascosto le sue difficoltà) ci porta sempre a riascoltarne i testi per ritrovarne qualche presagio, ma ci fa anche riflettere sulla natura di quel sentimento raccontato così dettagliatamente che fa male scoprire, a posteriori, che era un dolore così lacerante da non essere più sopportabile. Siamo inermi di fronte alla tragedia quando i segnali c’erano già tutti, a chiederci se mai avremmo potuto fare qualcosa per cambiare le cose. Forse la cosa più giusta da fare in questo momento è proprio questa: abbracciare le persone a cui vogliamo bene, prenderci cura di loro.

And while I’m alive, I’ll make tiny changes to earth.

Grazie, Scott.

Pubblicato da Frightened Rabbit su venerdì 11 maggio 2018