Quando il giovanissimo Jake Noch ha tirato su la cornetta del telefono e ha chiesto a Spotify di pagargli le royalties per circa 500 milioni di plays, il colosso svedese gli ha risposto con una pernacchia ed una causa. E ovviamente gli ha oscurato anche i brani.

Ma facciamo un passo indietro: il 21enne bambino prodigio del music business e fondatore della Sosa Entertainment LLC con base a Miami, nonché della società di collecting PRO Music Rights, nel 2016 era finito nel mirino di Spotify per degli ascolti anomali, tanto che già all’epoca gli era stato rimosso il catalogo. E lui chiaramente se l’è legata al dito.

Billboard, che segue la vicenda da tempo oggi ci porta nuovi risvolti e fa emergere l’ennesima storia dei bot e dei picchi di streaming non spiegabili se non con accanto la parola “truffa”.  In alcuni casi sono stati pure copiati titoli di brani di altri artisti per favorire le ricerche (come SAD! di XXXTentacion). Parliamo di un roster di semi sconosciuti che passano da da 0 a migliaia di ascolti in pochissimi giorni. E se ai dati anomali e ci aggiungiamo anche la soffiata di un whistleblower interno che ha diffuso alcune email tra Noch e i bot farmer, l’azione legale è servita.

Gli analisti avrebbero rilevato (condizionale d’obbligo anche se oltreoceano parlano di prove documentali schiaccianti) che 5.500 utenti stavano ascoltando gli album pubblicati da Noch e che – parola dell’avvocato – :

Tutti provenivano da una piccola cittadina americana che contava solo 10.000 abitanti. In due giorni un album è balzato da 0 a 749.000 ascolti. Comportamento anomalo che non appartiene a nessun genuino comportamento di ascolto.

Prosegue e conclude, Spotify affermando che:

Noch ha costruito uno schema che genera automaticamente milioni di ascolti fraudolenti in grado di manipolare il sistema Spotify e cercare di incassare royalties non dovute.

In pratica nessuno si è mai cagato gli artisti di Noch, eccetto i bot.