Sono nato nella seconda metà degli anni ’80, ho una sorella maggiore e, a 6 anni, ho fatto il fonico e il VJ (leggi anche: ho schiacciato “play” sullo stereo e acceso/spento le luci a mò di strobo) mentre lei e le sue amiche mostravano a mamma e papà una coreografia sulle note di “All That She Wants” degli Ace of Base. Durante la mia infanzia sono stato esposto ad una pletora di stimoli edulcorati potenzialmente in grado di rendere gay 2 bambini su 3. Come canta, però, il luminare Tiziano Ferro: se non uccide, fortifica.

Riflettendo sul mio gioioso passato sono giunto alla conclusione che il mio recente interessamento per le produzioni targate PC Music sia il naturale frutto dell’essere cresciuto nei favolosi anni ’90 e di essere in ottimi rapporti con il mio lato femminile.

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Dietro al nome PC Music si cela un’etichetta discografica Londinese fondata da A. G. Cook che, da giugno 2013, distribuisce gratuitamente, sul suo canale Soundcloud, la musica del proprio roster. Il nome della Label, come afferma il fondatore stesso, allude al fatto che, potenzialmente, il computer sia uno strumento chiave nella produzione di musica amatoriale ad un livello tale da rendere estremamente labile il confine tra le produzioni da camera e quelle da studio.

Per certi versi, A. G. Cook può essere considerato una sorta di WordPress: come la piattaforma di personal publishing ha permesso a chiunque sappia pigiare la tastiera di un computer di diventare un giornalista wannabe, il 20enne inglese si diverte a distribuire musica creata da persone che non risultano essere produttori abituali, trattandole come facessero parte di una Major Label.

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Per quanto la PC Music racchiuda tra le sue “mura” un ampio numero di artisti, un fil rouge li unisce dal punto di vista musicale e visivo. A. G. Cook è riuscito nell’intento di sviluppare, per la sua etichetta, un’identità molto forte, un’identità molto peculiare che ruota attorno all’uso di elementi di gratificazione immediata come il kitsch, motivetti orecchiabili e accattivanti, colori sintetici ed effetti sonori divertenti.

Tutto ciò che ha a che vedere con la PC Music sembra però circondato da una fitta nebbia di mistero che contribuisce a renderla parte di un fenomeno Pop fresco, bizzarro, spiazzante ed innegabilmente polarizzante. Non è chiaro chi si celi dietro a ciascun moniker, se si tratti di persone diverse o di un unico produttore, se i vocal nelle canzoni appartengano effettivamente a donne o se siano elaborazioni digitali di voci maschili. Nulla è certo e tutto si cela dietro ad un’immagine che sembra studiata appositamente per distogliere l’attenzione dalla sostanza, per veicolarla invece verso un vacuo iperrealismo.

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In un anno in cui il panorama del clubbing europeo è stato dominato da un riavvicinamento con la techno, le produzioni della label di Cook sono entrate a gamba tesa sui pilastri ideologici che sorreggono il genere: serietà, storicità e virilità. Se questo ritorno di fiamma poteva, per certi versi, rappresentare un barlume di speranza per la riconquista, su larga scala, dell’autenticità della musica sul dancefloor, la PC music ha alzato una bandiera raffigurante un enorme dito medio nei confronti di chi si prende troppo sul serio, di chi vive il clubbing come fosse un atto di devozione religiosa durante il quale azioni come scattare foto, Shazamare e limonare in pista rappresentano peccati capitali.

Le produzioni di artisti come GFOTY, Cook stesso e, soprattutto, Hannah Diamond evocano un deja vu acustico, sembrano un’ode all’Eurobeat e a quel mondo che tanto sta a cuore a chi presenta una sindrome di attaccamento morboso ai trashissimi anni ’90. Ma non solo, la PC Music pubblica canzoni che potrebbero benissimo provenire da quei camion che girano per le strade di Tokyo e che sono soliti riprodurre a tutto volume l’ultimo album del fenomeno J-Pop locale. Per certi versi se gli Aqua e i Vengaboys non fossero mai esistiti, oggi non avremmo il J-Pop e non staremmo nemmeno parlando di PC Music.

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Il “problema” delle canzoni della label Londinese risiede nel fatto che non sono semplicemente polarizzanti: in realtà sono tali da impedire anche a chi è fermamente convinto di apprezzarle, di goderne in una situazione di socialità; è un po’ come un video su YouTube che ti fa morire dal ridere ma cessa d’essere divertente nel momento in cui vuoi mostrarlo ad un gruppo di persone. Per quanto io possa segretamente apprezzare “Hey QT”, non riesco ad immaginare alcun contesto in cui, suonata per un pubblico ristretto o numeroso,  possa far ballare qualcuno; mi sorge il dubbio che, in realtà, non sia stata affatto prodotta con questo scopo.

E se l’intera etichetta discografica non fosse altro che una provocazione? Se così fosse, per quale motivo è stata in grado di generare tanto interesse e per quale motivo artisti come Oneohtrix Point Never e Rustie avrebbero associato il loro nome a quello di A. G. Cook?

La verità è che la PC Music è nata in un momento storico in cui il minimalismo, la ripetitività e l’autoreferenzialità della musica da club stavano portando ad un circolo vizioso all’interno del quale uno stimolo dal sapore totalmente opposto ha trovato terreno fertile per crescere rapidamente e per ricordarci che esisteva un tempo in cui, in discoteca, ci si divertiva davvero; il fatto che sostanzialmente nulla targato PC Music sia in grado di far veramente ballare è un’ironia che, per alcuni, rende la label ancor più irresistibile.