TASSINARO, KNOW YOUR ENEMY

L’altro giorno sono passato di fianco a una fila di taxi posteggiati in piazzale Medaglie d’Oro accanto a quella colonnina gialla che squilla. Ho notato che alcuni dei tassisti, i meno attempati, avevano un tablet e stavano guardandosi qualcosa su Netflix. «Legittimo», ho pensato. La vita di un tassista dev’essere fatta di lunghissime attese e chiacchiere penose e imbarazzanti.

Poi, però, ho scoperto una cosa: che in tutti gli Originali Netflix dove è plausibile che ci sia un taxi, non c’è mai un taxi, c’è sempre solo Uber (plausibile intendo per epoca storica e contesto d’uso: difficilmente Frank Underwood prenderebbe un Uber, così come citare il servizio in The Crown romperebbe un po’ la ‘sospensione dell’incredulità’, per intenderci). Convinto che si trattasse di un caso così eclatante di product placement selvaggio da non poter essere passato inosservato sono andato a cercare cosa ne avessero scritto nell’intricato e sempre attento mondo del web, senza trovare quasi niente.

Così ecco questo elenco provvisorio di alcune delle serie in cui viene pubblicizzato il marchio.

NEL MONDO DI NETFLIX C’È SOLO UBER

Partiamo da uno dei più recenti, che è anche il più sfacciato. A fine 2016 Netflix ha rilasciato 4 nuovi episodi di Una mamma per amica. La serie si è sempre distinta per dialoghi iper-sassy e battute troppo veloci per poter anche solo venire pensate da persone reali in tempo reale, ma questa nuova stagione, Una mamma per amica – Di nuovo insieme, va segnalata per due motivi: il primo è il toupet indossato senza vergogna da Luke, l’eterno fidanzato di Lorelai, la mamma di Rory, e gestore del diner di Stars Hollow. Il secondo è il personaggio di Kirk. La sua running gag prevede che in ciascun episodio abbia un lavoro diverso e più improbabile. In questa stagione, sarà un caso, decide di lanciare un servizio di ride sharing per la cittadina di Stars Hollow. Kirk battezza il servizio Ooober e in questa scena Lorelai gli fa notare che esiste già un Uber. Al che Kirk spiega come funziona il servizio dicendo: «Chiunque può richiedere una corsa e io vado a prenderli». Beh, penso io, proprio come farebbe un taxi. Sbagliato. Lorelai risponde che è proprio come Uber, e ne approfitta per descrivere il servizio in breve: «La gente usa un’app per chiamare una macchina». Al che Kirk, con la solita tenerissima ingenuità dice che il suo servizio non ha un’app e che i clienti dovrebbero chiamare sua madre a casa per prenotare la corsa.

La seconda stagione di Love (abbiamo già detto della colonna sonora qui) è uscita il 10 marzo di quest’anno. Tra le cose che succedono, piccolo spoiler, quest’anno, nell’ottavo episodio, scopriamo chi è il padre di Mickey, la matta protagonista. Si chiama Marty Dobbs ed è interpretato da Daniel Stern, attore che faceva assieme a Joe Pesci il ladro in Mamma ho perso l’aereo ed è un po’ uno stronzo. Uno stronzo che ha delle idee con cui è convinto di poter diventare ricco. Questa volta vuole andare a Palo Alto a pitchare un’idea apparentemente semplice: un servizio che è «Come Uber, ma meglio». E fin qui. Salvo che quando, qualche scena dopo, la figlia, incazzata, lo incalza sulle specifiche dell’app, il padre racconta che si chiama R Car e che manda macchine di fascia alta a prendere i clienti. «Uh! Tipo dei bei taxi», penso io. Mickey però è arrabbiata e forse non usa taxi perciò risponde «Ah, esattamente come Uber…». Al che, per smarcarsi, il padre dice che in realtà la R del nome dell’app sta per “reserve” perché con R Car puoi prenotare la macchina in anticipo. Così Mickey fa presente che essendoci «sempre Uber in giro non c’è alcun bisogno di prenotare una macchina». Il padre cita gli eventi sportivi e gli aeroporti, situazioni affollate in cui potrebbe servire prenotare con anticipo, ma Mickey ha un dato nella manica: «Non ho mai dovuto aspettare più di quattro minuti per un Uber». Quattro minuti. Non cinque. Quattro.

Questo dialogo, pure ovviamente carico di significati riguardo la relazione tra padre e figlia, dura quasi un minuto e mezzo. Come un lungo spot prima di un film.

Master of none è la serie, di nuovo originale Netflix di e con Aziz Ansari che forse avete visto interpretare se stesso, un ambizioso figlio di immigrati indiani, basso di statura, ma sempre in parlantina, in Parks and Recreation o come stand up comedian negli speciali usciti sempre per Netflix. Il 12 maggio esce la nuova stagione, girata anche in Italia, ma nel primo episodio della prima, dopo neanche un minuto e mezzo, al protagonista si rompe il preservativo mentre fa sesso con una ragazza. Non è venuto, ma, googlando assieme i due arrivano alla conclusione che anche così lei potrebbe essere rimasta incinta. Devono andare a prendere la pillola del giorno dopo e la prima cosa che propone lui è «Che faccio chiamo un Uber?». Ma certo…a New York dove vuoi trovare un taxi!? E poi figurati se c’è una farmacia di turno raggiungibile a piedi. Però qui uno pensa magari è solo un caso, una scelta di sceneggiatura. Salvo che Ansari prosegue dicendo «Mmh… c’è un Uber X in 3 minuti e un Uber Black [n.d.a. il servizio high-end diciamo] in 15. Che facciamo, Uber X?» E va beh.

Bojack Horseman è un cavallo doppiato da Will Arnett. È stato protagonista di una classica sitcom anni ’80 intitolata Horsin’ Around. Da quando la serie ha chiuso divide il suo tempo equamente tra il bere, lo scopare e poco altro.

In casa del cavallo, una villa con piscina in cima a una collina a Hollywood, abita anche Todd, un ragazzo (doppiato da Aaron Paul, il Jesse Pinkman di Breaking Bad, biatch) che ha sempre addosso un cappellino di lana giallo, vive in infradito e non fa sostanzialmente nulla. Nella terza stagione Todd fonda assieme a Mr. Peanutbutter, un cane che è un po’ la nemesi di Bojack, una startup che è essenzialmente Uber, ma con driver solo donne. Inizialmente l’idea era che questo avrebbe dato più sicurezza ai passeggeri donne, ma il progetto, all’ottavo episodio, subisce un pivot repentino quando Todd e Mr. Peanutbutter si accorgono che i passeggeri uomini iniziano a prendere le macchine solo per viaggiare con le guidatrici più fighe.

Insomma, alla fine, pure con tutto che Uber non garantisce alcun diritto ai driver (negando di trattarli come dipendenti), è ancora meglio Uber!

UNITED WE STAND

Io ti voglio bene tassinaro, perché lo so che non è facile pensare di aver speso quello che hai speso per una licenza della quale qualunque balordo può fare a meno (se non vietano per sempre Uber e simili). Però anche tu aiutami ad aiutarti e ricordati che quando guardi gli speciali di Chappelle su Netflix mentre aspetti che qualche anziana in pelliccia o vecchio sordo salga col tassametro già a 10€ per attraversare la strada, ricordati che stai aiutando i ricconi della Silicon Valley che non pensano ad altro che ad annichilire il valore di scambio della sudatissima licenza che ti ha lasciato in eredità tuo padre.

Perciò vendila e apri un baracchino abusivo in Forlanini che vende Peroni da 66 ai peruviani o boicotta Netflix e fatti mettere un bel videoregistratore sulla macchina così puoi riguardarti il VHS di Forrest Gump che non hai mai reso al Blockbuster.