Se fossi un apolide e se potessi uscire da questa condizione scegliendo di radicarmi in un posto qualsiasi, sceglierei il comune di Bugliano; ma non la reale frazione in provincia di Lucca, bensì l’omonimo paese immaginario che produce squisiti comunicati fake. Perché sceglierei questa versione del paese che non esiste? Perché, tra le simpatiche fake news, il sindaco avrebbe bandito la parola resilienza: multa per chi la pronuncia in pubblico.

2 ottobre 2000

Esce Kid A, il quarto album dei Radiohead. Thom Yorke sull’avambraccio non ha nessun tatuaggio ‘resilienza’, eppure, vent’anni fa, lui e la sua band ci hanno dato un esempio di quanto possa essere vario il concetto di rimettersi in gioco, di quanto l’istinto umano possa scommettere su sé stesso; di fatto rinascere senza che ci sia nessun obbligo di rinascere. Rinascere, insomma, senza essere morti, ma anzi per il contrario, per un eccesso di totalità – che nella fattispecie si chiama OK Computer, insieme a tutta la scia che il disco-ancora-con-le-chitarre-protagoniste del 1997 ha generato in seguito alla sua pubblicazione.

Non so se il finto sindaco del finto Bugliano sia un fan dei Radiohead; probabilmente sì. Lo sostengo perché questo uomo ha troppa sensibilità nei confronti della parola ‘resilienza’ usata a sproposito, e dell’area semantica che essa ricopre, che ha invaso impropriamente da quando è apparsa tatuata sui corpi di Gianluca Vacchi e i suoi emuli, barbuti bomber. Brr.

La resilienza

Recentemente la brandizzazione di alcuni sviluppi dell’animo umano ha sminuito concetti importanti. Siamo appena usciti da un decennio in cui i brand da t-shirt “C’ho l’ansia” e “Che disagio!” hanno fatto grandi successi, e hanno reso confuso il limite che separa piccoli malumori stagionali di indie girls e indie boys da patologie vere, per esempio. Erede diretto di questa consuetudine è proprio il successo della parola ‘resilienza’: un tecnicismo scientifico che è stato banalizzato fino ad indicare una generica rinascita, la capacità di rinascere dalle proprie ceneri, a quanto pare. E quindi, essendo questa la sfumatura modaiola del termine, quella brandizzata, pare che sia il solo unico atto ormai possibile, in questo senso.

Il successore di OK Computer

Ma la rinascita non è solo quella della fenice; la capacità di reagire non è solo quella che si sviluppa dopo la dissoluzione. La storia è nota: i Radiohead devono dar vita al successore di OK Computer, ma ci sono diversi problemi. La band si ritrova a partire dal 1998 in studio senza parole e senza suoni. L’esaurimento nervoso ha impantanato Thom Yorke in una palude creativa; il bassista Colin Greenwood pensa che i Radiohead debbano cambiare tutto. In generale, si trovavano stretti nella morsa del confronto con il disco precedente, del confronto sempre più eterno con Creep; nella morsa della paura di diventare i nuovi U2, del terrore di mescolarsi nel maremagnum confuso verso cui il britpop stava convergendo. Sia chiaro, non ci sono ceneri, anzi: i Radiohead stanno cavalcando i palchi di tutto il mondo con i successi che hanno prodotto nel corso degli anni ’90, culminati con OK Computer. C’è comunque un blocco creativo in corso. Che fare? i problemi si potrebbero risolvere chiudendo gli occhi, e sdraiarsi su questa lettiga di conforto fatta di chitarre, una voce indimenticabile e ormai la palma di salvatori del rock – perché sì, nel 1997 i Radiohead hanno salvato il rock e la sua alternatività da morte certa. Ma no, non è questa la soluzione che il gruppo, senza idee in studio, vuole adottare. Ed è qui, nascosto dentro questa scelta, tutto il potere misterioso di Kid A.

Ecco lo scarto, l’evoluzione, la creazione del futuro – là dove non era cosa strettamente necessaria, i Radiohead si impongono di creare un portale che li conduca dentro una nuova dimensione artistica; si ritrovano con in mano un album che inoltre accompagna per mano gli ascoltatori nel nuovo millennio, anticipando loro quello che sarà uno dei limiti che in questi vent’anni è rimasto invalicabile: la possibilità di capire tutto ciò che ci circonda; di capire, in sostanza, il mondo e il tempo in cui viviamo.

Da questo momento di mutismo è nato l’album in grado di raccontare un sinistro malessere che le persone percepivano nel 2000, e che ha trovato una forma drammaticamente definitiva un anno dopo, nel nuovo, mutilo skyline di New York. Ciò che vale la pena evidenziare di tutta la storia, è che i Radiohead hanno rivoluzionato con Kid A la loro identità non rinascendo dalle ceneri di un fallimento, bensì scendendo dalle vette più alte che la loro carriera aveva raggiunto. Kid A non solo è un album epocale in senso assoluto; ma lo è anche – e soprattutto – perché viene dopo OK Computer. Benché la sua struttura sia di una complessità travagliata e ricercata, il quarto album è comunque una operazione di sottrazione, devota al segno meno. Kid A sottrae le parole, sottrae soprattutto la melodia: quest’ultima, stravolta, miscelata, risciacquata nelle influenze del catalogo Warp, si è ritirata, restando solo suono, codice: un codice intraducibile.

2000 – 2020

Vent’anni fa i Radiohead con Kid A ci hanno dimostrato che si può scegliere di ripartire da zero non solo guardandosi alle spalle, ma proiettando il nuovo inizio verso il futuro. Possiamo chiederci nel 2020 cosa possa significare ancora questo album, ma non risulta facile, perché Kid A è tutt’ora vivo, il suo effetto non si è puntellato in un cantuccio specifico. Per esempio, il primo grande effetto che ha suscitato quel 2 ottobre di due decenni fa, resta ancora oggi pulsante: quella age of anxiety da fien de siècle (quanto piacquero alla critica queste due coordinate!) che si avverte dal primo giro sintetizzato di Everything In Its Right Place, si potrebbe copiare e incollare allo stato attuale: avvertiremmo Kid A come un album capace ancora oggi di cambiare la vita alle persone, perché riesce a tradurre secondo un codice illeggibile, ma comprensibile, l’aria che respiriamo. Kid A scava nella coscienza dell’ascoltatore; il suo essere-altro, in qualche modo, ti permette di avere una maggior consapevolezza di te stesso. Non a caso – altro tema caro da sempre alla critica – si è parlato spesso di Kid A come linguaggio alieno.

La rinascita dei Radiohead con Kid A è qualcosa di cui oggi non siamo più di tanto abituati. Va di moda citare la ‘resilienza’ proprio perché pare che bisogna essere capaci solo di rialzarsi dopo una caduta. Ma a inizio millennio, una band già grandiosa era in grado di concepire una rinascita partendo da cause totalmente opposte. I Radiohead sono stati in grado di giocarsi tutto pur di fare una cosa che oggi risulta difficile anche solo pensarla: autodissolversi e rinascere, per fare il futuro. Rinascendo con Kid A, i Radiohead hanno fatto il futuro. Ma anche il passato e il presente, in sostanza: la storia. Una storia di rinascita già lunga vent’anni.

Un classico come Kid A può metterci in contatto in un unico istante con il passato, il presente, e il futuro, dandoci la sensazione che siano tutti la stessa cosa, una sorta di narrazione storica e personale multidimensionale.

Steven Hyden – Radiohead: This isn’t happening. La storia di Kid A