Facciamo che la macchina o lo scooter ti lascia a piedi. Entri dal meccanico. Sul muro il calendario di Elisabetta Canalis, pubblicato negli stessi anni in cui Bobo Vieri vestiva Sweet Years. Di fianco c’è anche quello di Anna Falchi.

Spieghi al meccanico che il tuo mezzo si è spento e mai più riacceso. Intanto lo sguardo cade verso delle bacinelle poggiate per terra, sembrano insalatiere, sono sporchissime e piene di un liquido nerastro bruciato che appare davvero nocivo. Chiedi cos’è quella roba buttata lì. “Quello è olio esausto del motore“, spiega il meccanico. “Ma quello è l’itpop oggi!” – ma no, il meccanico ribadisce che è olio esausto del motore. Intanto fischietta il motivo de La luna e la gatta, che sta passando in radio.

Perché l’itpop, giunti ad oggi, aprile 2019, suona ormai esausto?

Il suo successo si è fondato sulla ventata di novità, un dettaglio che innanzitutto, per forza di cose, col tempo, si dissipa. Prendiamo ad esempio le parole. All’inizio, esplosa la bolla con Calcutta e Thegiornalisti, con Coez, Carl Brave e Franco 126, ciò che colpiva maggiormente l’ascoltatore era l’immaginario lessicale: le canzoni italiane (che cominciavano ad affacciarsi anche in radio) si stavano rinnovando profondamente nei loro testi.

Convergevano tanti elementi in un unico pop, fatto di cantautorato ma non troppo, di rap ma non troppo, di indie ma non troppo: insieme alla trap, l’itpop è nato e cresciuto così. Si è nutrito con parole nuove e soprattutto con espedienti retorici nuovi: rime ironiche e ricercate (la paradigmatica Medjugorje/De Gregori), giochi di parole frizzanti (Polaroid e i Coma_Cose), slogan generazionali (Coez, Thegiornalisti).

Sì, è stata a suo modo una piccola rivoluzione, che ha attirato anche l’attenzione di un’istituzione come la Treccani, che per un rinnovo d’immagine ha scelto proprio le nuove canzoni italiane.

Ma questo, che era un punto di forza, ora è diventato un limite.

Rime, giochi di parole e slogan sono diventati una grammatica precisa; da novità sono diventati uno schema. Le playlist dei maggiori servizi d’ascolto streaming, quelle inerenti a indie e Italia, si riempiono ogni settimana di cantanti bizzarri nuovi, di titoli bizzarri nuovi – che spesso sono nomi femminili, nomi di città, marche di qualcosa. Si ascoltano e si sentono che sono o copie o riassunti – o nel peggiore dei casi copie di mille riassunti:

L’itpop si è assestato ed è diventato un libro di grammatica.

C’è un vocabolario preciso, un manuale di retorica preciso. Ragion per cui, si potrebbe pensare che per fare itpop basti pescare dentro questi calderoni. E così è infatti. Una prassi che non porta frutti e che rischia di far marcire quelli già raccolti. Ripetere oggi tali e quali le formule lessicali che fecero la fortuna dell’ondata, significa essere 1) ridondanti e 2) si rischia di sfinire anche ciò che due, tre anni fa si reputava innovativo. Ancor di più, poi, se questa precisa grammatica viene impiegata per un’altra grammatica ancor più rigida: l’immaginario.

Non c’è itpop se non c’è AMORE AMARO. E ancor di più non c’è itpop se non c’è ANSIA e DISAGIO.

Due espressioni come “c’ho l’ansia” e “che disagio” hanno fatto la storia degli anni Dieci. Sono diventate un brand fatto di magliette e nomi di gruppi su Facebook. Sono poi diventate il cardo e il decumano del palinsesto di Canale 5, e soprattutto – quello che ci interessa qui – sono diventate le colonne portanti dell’immaginario itpop. Ecco, forse una differenza, ad esempio, tra Il sorprendente album d’esordio de I cani e l’esplosione nazionalpopolare dell’itpop è proprio qui: se per Contessa ansia e disagio furono sentimenti ancora poco focalizzati nelle sensibilità delle persone, da Mainstream in poi invece diventarono una posa alla portata di tutti – rappresentate alla perfezione per la prima volta qui:

La forza dell’itpop è stato riavvicinare, e di molto, le canzoni alla vita. In questo, campioni sono stati Carl Brave e Franco, che hanno estremizzato una poetica fatta di zero idealismo e tutta concentrata sulla vita reale, tangibile.

Concezioni “morbide” di ansia e disagio esistenziale sono diventati i cardini generazionali degli anni Dieci, e l’itpop ha trovato la chiave di volta per cantarli, per renderli sentimenti veri.

Ma come è accaduto per le parole, anche questa intuizione, che è stata il punto di forza forse più grande del genere, si è ridotta a un calco da imitare. E se riassumere le parole in una grammatica precisa può anche essere lecito, beh, farlo per la fantasia, per la creatività, per l’immaginario… no, non ci siamo, diventa una castrazione vera e propria, non solo un limite.

Ormai si canta di storie d’amore a senso unico, di malesseri tutti uguali, di nichilismo manifestato sempre con le stesse immagini. Ma è possibile che la vita sia diventata così univoca? E, soprattutto, è possibile che non ci sia una sensibilità artistica capace di declinare la contemporaneità secondo vedute differenti? Questo porta a credere che tante nuove leve non facciano musica per un’urgenza, bensì vogliono farla per allinearsi ad una determinata scia.

“Fare” itpop, oggi, sembra essere come partecipare ad un concorso pubblico: si studia dagli stessi libri, si fa lo stesso test, e poi un po’ per diligenza e un po’ per altro, si trova il lavoro – si pubblica il disco.

Ecco, in sostanza è per questo che il movimento può essere paragonato all’olio esausto del motore.

Un’ondata di freschezza è sempre destinata a finire (ad acclimatarsi). L’itpop sembra aver fondato il proprio, grande successo su fattori momentanei più che duraturi; e quel momento sembra essere al tramonto.

Tommaso Paradiso è diventato una icona del pubblico generalista italiano; Calcutta idem; Coez è in cima alle classifiche da mesi, sebbene testimoni con l’ultimo disco tutta questa stanchezza. Il suono di Carl Brave è ormai riconoscibile da tutti. Franco 126 ha virato verso un progetto più intimo (ed è uno dei risultati migliori del “post-itpop”). Giorgio Poi va dritto per la sua strada. Gazzelle riempie i palazzetti. Cosmo organizza feste. Frah Quintale si nutre ancora del successo di Regardez Moi. I Coma_Cose sono usciti molto tardi con l’album d’esordio, ma sono a prendersi tanti onori in giro con il tour.

Insomma, questi sono alcuni dei nomi che hanno fatto l’ossatura di quello che abbiamo imparato a chiamare itpop. Nomi che hanno trovato una posizione importante, oggi. Una posizione strettamente legata a quel momento iniziale e pieno di entusiasmo. Ma forse è ora di andare oltre al successo già ottenuto – che ormai si è stabilizzato.

Se l’itpop suona stanco, significa che è l’ora di trovare – sia gli affermati se vogliono ancora osare, ma soprattutto gli emergenti – una nuova formula, che riesca a differenziarsi dalle parole, dai temi e dal suono che negli ultimi tre anni hanno rinfrescato e rovesciato la canzone italiana.

Fare successo parassitario attorno all’itpop è stato facile e redditizio: hanno ottenuto notorietà persone che si cimentavano in cover dei singoli, facendo a gara a chi pubblicasse prima il video. Sono diventati famosi collettivi che hanno puntato tutto sui video-parodia della scena.

E poi noi, che non siamo esenti, abbiamo dedicato numerosi articoli e approfondimenti a tutto questo, perché non ci pareva vero di vedere arrivare al successo gente che non usciva dai talent o che non era Laura Pausini e Biagio Antonacci. Insomma, gente capace di sovvertire anche i canali attraverso cui arrivare al successo nazionale. Ma ecco, tutto questo, NON è sempre bello. O meglio, non lo è per sempre.

Cosa servirebbe? Forse inventarsi una rivoluzione totale. Per il panorama hip-hop sta accadendo: la trap in Italia è finita ed è in corso un totale rinnovamento – a partire dall’estetica – della produzione rap del paese. E lo stesso varrebbe per l’itpop. Svuotare le bacinelle piene di olio motore esausto, ripulirle, e renderle adatte per un nuovo e più decente utilizzo. Altrimenti si rischia che di tutte queste canzoni, resti solo un verso: “mi annoiavo alle feste, mi annoiavo alle cene” – feste e cene in cui c’è sempre quello che lascia andare sulla cassa bluetooth la famosa playlist del famoso servizio streaming: quella con le parole indie e Italia, che tradotto vuol dire questi ultimi tre anni di itpop.