Eric Timothy Carlson è un artista e designer Statunitense nato a Minneapolis e attualmente di base a Brooklyn. Storicamente attratto dai simboli, Carlson ne ha esplorato il potere criptico ed esplicito all’interno del mondo della musica, creando loghi, icone e glifi per una serie di band del midwest, tra cui P.O.S, Gayngs e Doomtree.

I simboli, nei lavori di Carlson, raramente vogliono attribuire un significato o un marchio distintivo unico ad un soggetto, bensì forniscono molteplici chiavi di lettura, infondendo continuamente nuova vita alle opere. Questo spirito è ben presente anche negli artwork che accompagnano 22, a Million: è un’opera complessa, un insieme di simboli, illustrazioni e testi che si trovano impressi non solo sulla copia fisica del disco, ma anche sui post dei profili social di Bon Iver, su muri e su carta stampata.

In un’intervista per Walker Art Center, Carlson spiega come non si tratti tanto di un’identità grafica per l’album quanto della documentazione di una collaborazione tra diversi individui, luoghi, tempi e strumenti.

La nascita del progetto

Carlson, cresciuto in una famiglia di musicisti e musicista lui stesso, ha sempre legato i suoi lavori al mondo della musica. Vivendo a Minneapolis, ha iniziato creando dei design per le band dei suoi amici e i poster per i concerti della zona. Per una decade ha contribuito a modellare l’estetica delle band di Minneapolis, alcune delle quali, Poliça e Gayngs tra tutte, non estranee a Justin Vernon.

Nel 2011, Carlson ha ricevuto un messaggio da Justin Vernon in cui esprimeva apprezzamento per il suo lavoro. Dopo all’incirca un paio d’anni, i due si sono incontrati di persona e Justin lo ha invitato ad April Base, il suo studio di registrazione, per dare il via ad una possibile collaborazione.

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La collaborazione

Carlson sostiene che a differenza di altri progetti in cui aveva già in mente l’immagine che sarebbe poi diventata la copertina di un album o in cui aveva dei limiti che era costretto a rispettare, era libero di far diventare la collaborazione con Bon Iver ciò che desiderava: un complesso ecosistema di opere.

L’artista si è recato ad April Base, ad Eau Claire, un paio di volte all’anno per una all’incirca una settimana ogni volta, periodo di creazione fortemente dettata dallo stadio in cui si trovava il nuovo album. Carlson ha lavorato a stretto contatto con due o tre persone alla volta (musicisti, scrittori, il team dello studio di registrazione), dando vita ad uno spazio creativo che si è concretizzato in installazioni, murali, jam session e pura contaminazione creativa. Si è trattato di un esperimento, senza il bisogno di pensare troppo a ciò che si stava creando. Ogni sessione dava vita a molti sketch, che sono poi diventati il punto di riferimento per l’artwork definitivo.

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I simboli

Sin dal principio, le canzoni sono sempre state dei numeri, ognuna, inizialmente, più di uno. Carlson racconta come, ascoltando le tracce, discutevano dei numeri, delle canzoni, vedevano i testi concretizzarsi, facevano liste, disegni. Era una sorta di intervista ad ogni canzone, e l’output finale consisteva in una matrice di appunti e simboli.

Tra la numerologia, la natura metafisica e umanista delle domande contenute in 22, a Million, la raccolta di materiale fisico e il simbolismo della musica, era chiaro a Carlson che l’artwork doveva consistere in una sorta di tomo, una Stele di Rosetta, qualcosa che richiedesse tempo e impegno per essere interpretato, che potesse ingannare e presentare delle domande senza risposta. Un viaggio interiore in qualche modo molto contemporaneo.

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Il distacco dalla precedente estetica di Bon Iver

L’Americana che aveva accompagnato For Emma, Forever Ago e Bon Iver era appropriata per i due album e per il momento in cui sono stati realizzati, ma il nuovo progetto non voleva proseguire in quella direzione. Il nuovo album, spiega Carlson, è esplicitamente legato a quelli precedenti, ma con un’evoluzione del sentimento di fondo e della cultura.

Mentre creava i simboli dei 22, a Million, Carlson sentiva che il puzzle che stava realizzando era molto naturale, automatico. Justin aveva assegnato a ciascun numero un significato e una logica, ma alla fine, i numeri non sono altro che contenitori che chiedono di essere riempiti di un nuovo significato di volta in volta. Dando vita all’artwork gli è parso chiaro come i numeri dovessero essere consegnati al pubblico: 10 simboli sarebbero diventati 10 murali, 10 video, un libro di 20 pagine

L’album rappresenta la legenda per interpretare questi simboli. Ognuno può essere utilizzato individualmente, ma nessun pezzo dell’opera può prescindere dal packaging completo.

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Lo yin yang

Quando è stato deciso che ogni traccia dovesse essere legata ad un simbolo o un insieme di simboli, Carlson voleva che ci fosse comunque un filo conduttore, un elemento ricorrente che li comprendesse tutti. Lo yin yang è stata la scelta fin dall’inizio, poiché era anche una buona rappresentazione dell’aspetto umanista/spirituale del progetto.

I lyric video

L’idea dei lyric video è stata di Justin Vernon e per Carlson è stata una sorta di sfida poiché, per i video, si era immaginato una componente visiva astratta/ambient, priva di testo. I video sono diventati invece il luogo ideale dove espandere l’estetica digitale del progetto, il collage digitale fortemente radicato in 22, a Million: Carlson spiega come, ad esempio, “10 d E A T h b R E a s T ⚄ ⚄” contenga un campione a bassa risoluzione preso dal video di Stevie Nicks che canta in backstage.

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Le maglie da football e le lattine di birra

Le maglie, le lattine sono a loro volta simboli contemporanei. Le lattine evocano l’immagine delle persone che hanno lavorato al progetto e sono qualcosa di familiare per ciascuno di noi. Le maglie da football simboleggiano invece il fatto che le domeniche pomeriggio nessuno si trovasse in studio di registrazione perché stavano tutti seguendo le partite dei Packers.

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La Font

Carlson cercava qualcosa di semplice, una font di sistema, poiché trascriveva i testi all’interno di documenti text-edit. Bon Iver, scritto in Optima, gli era parso perfetto sin dal principio, ci è poi tornato più volte ed ogni volta gli sembrava la scelta giusta. Racconta poi come la prima volta che l’Optima l’aveva colpito era nel suo uso all’interno della campagna presidenziale di McCain. L’Helvetica era troppo sterile, Garamond troppo sentimentale. Optima era invece abbastanza versatile, una via di mezzo.

Gli Illuminati

Interrogato sul video che espone le prove secondo cui il simbolismo presente in 22, a Million dimostrerebbe che Bon Iver = Illuminati, Carlson risponde:

“Ouroboros! Obelisk!”  Such perfect confirmation.  I’d like to note that there is no Ouroboros in that video.”

https://open.spotify.com/embed/album/1PgfRdl3lPyACfUGH4pquG