fedez

Innanzitutto una confessione ed un’ammissione di colpa: sono cresciuto ascoltando quasi esclusivamente rap e per un lungo periodo della mia adolescenza ho schifato chiunque provasse ad introdurre sonorità più moderne/elettroniche in quello che consideravo il mio genere.
Da una parte non avevo tutti i torti, considerando il livello delle cafonate che venivano fuori, dall’altra ero vittima del pensiero dominante nei salotti in cui avvenivano le discussioni, i forum (sembra molto tempo fa, lo so, ma non è un periodo così lontano e ci siamo passati tutti). Fino al 2010, circa, se facevi un pezzo su una strumentale che non contenesse almeno un paio di sample eri un coglione, se dicevi qualcosa sul rap senza aver fatto uscire almeno un disco nel 1994 dovevi stare zitto, se provavi a dire qualcosa sul fatto che si potessero fare musica decente e soldi assieme eri un coglione e dovevi stare zitto. Fortunatamente, assieme all’avvento di Facebook come principale social media e il conseguente svuotamento dei forum, il pensiero ha iniziato a cambiare e dopo un paio d’anni di tentativi casuali, il rap ha trovato un suo spazio nel mainstream italiano e una sua direzione precisa, sfortunatamente, questa direzione va a braccetto col pop e i talent show, e prevede una totale uniformazione dei canoni e della presentazione del proprio prodotto.

Un esempio chiarissimo in questo senso lo abbiamo avuto tre anni fa, all’uscita di Hanno ucciso l’uomo ragno 2012, in cui praticamente Max Pezzali – che successivamente sarà anche giudice in MTV Spit assieme a Morgan, per dire – inserisce una larga parte dei rapper più vicini, se non dentro, al mainstream; il rap riscopre le sue radici negli 883 e i rapper, o chi per loro, iniziano a pensare che per introdursi all’interno del mercato fosse necessario procedere a piccoli passi e nascondersi dietro le più solide figure del pop italiano, così abbiamo Moreno che esce direttamente da Amici, Marracash che fa pezzi con Giusy Ferreri, Tiziano Ferro e Neffa (di cui vale la pena ricordare l’episodio Due di picche con J-Ax, grazie Giovanni), Don Joe che esordisce con un album EDM (!!!) in cui troviamo assieme Emma e Clementino, Emis Killa e Giuliano Sangiorgi, Rocco Hunt vincitore a Sanremo con un pezzo che ha più a che fare con il neomelodico che col rap. Questo è quello che serve per avere un contratto con Universal/Sony.
Non ho ancora citato quella che ormai è una creatura leggendaria (nel senso proprio di bestia mitologica) del rap italiano, cioè Gue Pequeno, per il semplice fatto che non sembra interessargli in alcun modo la qualità della musica che produce o quello che si pensa di lui, tant’è che prende per il culo indistintamente chi lo insulta e chi lo segue, come dice da un po’ l’unica cosa che conta è il business, niente a che vedere con l’argomento di questa riflessione, insomma: non parliamone e basta.

Manie di protagonismo

Manie di protagonismo

Molto più interessante è la questione delle label indipendenti, perlopiù in mano agli stessi rapper: Tanta Roba, Machete Productions, Roccia Music, Undamento, Honiro. Tra queste, due (Tanta Roba, che si compone dei soli Gemitaiz e MadMan, ex Honiro e, appunto, Honiro) hanno un target assolutamente under sedici, non so se ci sia uno statuto, un regolamento o un codice etico a imporlo ma è abbastanza facile da verificare. Undamento nasce dal ventre della Carosello (Emis Killa, Maruego) come

etichetta discografica indipendente con lo scopo di sviluppare progetti Urban, Rap e Hiphop seguendo una matrice che basa le proprie fondamenta nella dimensione prettamente underground. Lo scopo di questo progetto è di dare una netta risposta alla mercificazione di un genere che in Italia rischia di perdere la propria integrità per ragioni di puro mercato. Il rap è la base di tutto. La credibilità e la verità sono le colonne portanti di questa etichetta che ha come mission il comunicare al meglio i propri progetti attraverso strategie senza intaccare l’esigenza di espressione dell’artista che rappresenta

A dispetto dei continui riferimenti all’underground e ad una concezione di arte non piegata ai dettami del mercato, il progetto include ad oggi Coez, che non rappa da qualche anno, e i Fratelli Quintale, che ultimamente canticchiano anche loro. Non proprio ciò che ci si potrebbe aspettare insomma. Le uniche proposte interessanti, nel bene e nel male, arrivano dalla Machete e da Roccia Music, che in questi ultimi anni hanno spinto artisti che partivano da qualche decine di migliaia di visualizzazioni su Youtube – alcuni ci sono rimasti – senza snaturarli più di tanto. Machete parte da un’idea di condivisione il più ampia possibile, rilasciando mixtape in free-download con all’interno decine di artisti diversi, accomunati perlopiù da un’attitudine molto aggressiva e con strumentali a tinte buie.
Roccia Music al contrario è un progetto più esclusivo, in cui il numero esiguo di artisti è accomunato da una visione del rap prettamente di strada (sì, lo so, il termine fa ridere già da solo, però è forse uno dei tentativi più riusciti di sempre in questo senso); in entrambi i casi i giovani vengono trainati dalle figure di punta dell’etichetta – Salmo, Marracash – e la cosa permette di adottare un approccio più simile a “questo è quello che faccio, se ti piace bene”. Anche in questo caso però, quando ci si avvicina alle major il discorso cambia, vedi Nitro che se ne esce per Sony/Machete con un album in cui i ritornelli sono per la maggior parte cantati (male, da lui) e il resto è preso di peso da Eminem e Fibra nel 2004; o Achille Lauro, passato da Richforever – l’inno dei poveri stronzi, la dimostrazione che la vita è sempre cattiva – ad un album fatto di autotune e di due frasi in croce riproposte ancora e ancora (per quanto potrebbe essere soltanto un passo falso, ti voglio sempre bene Achille).
Menzione a parte per la Giadamesi di Dargen D’amico, che però ha come solo rapper Dutch e non mi pare abbia influito più di tanto sulla creazione dell’EP Diecimila Lire, la MacroBeats per cui è uscito uno dei pochi progetti musicalmente interessanti di questi ultimissimi anni, cioè Laska di Mecna (no, Orchidee non c’entra niente col rap, non è una critica, facciamoci una ragione anche di questo) ma che non arriva alle cifre degli altri e, infine, la Newtopia di J-Ax e Fedez che niente, è quello che può sembrare un’etichetta di Ax e Fedez, una pagliacciata.
In tutto questo i media più generalisti (quotidiani, telegiornali) si trovano di fronte a dischi che non capiscono/non ascoltano e parlano di un genere di cui non sanno nulla, millantando presunti contenuti di “rivalsa”, “riscatto sociale” e ricordando sempre come certa roba arrivi dal ghetto e quanto la strada abbia influito sul percorso di questo o quell’artista; gli insulti gratuiti sono ironia, provocazione, tutto è raccontato con termini da sessantenni per cercare di attirare l’attenzione di gente under trenta, non ci sono critiche, solo pubblicità. Alcuni titoli da uno dei maggiori quotidiani italiani: “Club Dogo, speriamo che i nostri fan non ascoltino noi, ma i loro professori”,”Emis Killa ricoverato in ospedale. Ma da Facebook rassicura i suoi fan: tornerò presto”,”Nel nome dell’hip hop ruba, dorme dove capita, fuma, beve e soprattutto compone pezzi da postare su Youtube”. Gossip.

Tipico video rap italiano

Il rap italiano è uscito in modo prepotente dalla nicchia in cui si era relegato fino a qualche anno fa, arrivando a vendere centinaia di migliaia di cd e raggiungendo regolarmente milioni di visualizzazioni su Youtube, con Fedez che fa gli stessi numeri di Kendrick Lamar (riflettiamoci sopra per un momento, ok?); a questo punto ci si potrebbe chiedere se non sia arrivato il momento di iniziare ad osare di più, o se si vuole continuare a trattare gli ascoltatori come bambini stupidi da imboccare con la stessa pappetta per sempre, continuare a registrare lo stesso pezzo inutile e declinarlo in quelle due-tre versioni che verranno definite “vastità di argomenti”, con produttori che prendono a piene mani le cose peggiori da mode vecchie di anni e gli piazzano sotto delle 808, il suono del futuro, 2nd Roof music.
Un esempio in positivo di questi ultimi giorni è la riuscita dell’esperimento – in Italia tocca chiamarlo così, – di EGreen su Musicraiser, che nel giro di dieci giorni ha raggiunto oltre ventimila euro per un disco che uscirà tra due mesi e di cui è uscito un solo estratto (la cosa più bella è che il rapporto tra visualizzazioni e soldi è di quasi 1:1), alla base di questo soltanto un po’ di ironia e parecchia sincerità. Stiamo parlando di cifre ridicole? Non è una soluzione che potrebbero applicare tutti? Resta il fatto che l’idea di inseguire gli ascoltatori cercando di assecondare ogni loro voglia è stata abbandonata da tempo altrove con ottimi risultati, sia in termini di qualità che di vendite, e dire che da noi questo non è possibile equivale a dire che siamo tutti stupidi.