BowieReturnNew647

Look up here, I’m in heaven
I’ve got scars that can’t be seen
I’ve got drama, can’t be stolen
Everybody knows me now

David Bowie ha cercato di dircelo. Col senno di poi i primi versi di Lazarus sono un chiaro avvertimento, reso ancor più vivido e forte da un video più che mai esplicito. All’inizio troviamo un Bowie bendato, su un letto, debole, il suo corpo si eleva al cielo.

C’è la consapevolezza della fine, c’è la morte tangibile in ogni nota, fotogramma, parola. Ma nessuno lo poteva credere per davvero. Nessuno si è mai azzardato a pensare che David Bowie – quello vero, non uno dei suoi infiniti personaggi – potesse andarsene, per sempre. Un messaggio così esplicito non è stato recepito perché la leggenda Bowie, quella che pubblica un disco a 69 anni, offusca il fatto che, alla fine, i conti dobbiamo farli tutti.

Blackstar è il suo testamento, a tutti gli effetti. Un legame inestricabile unisce l’album, l’arte, l’uomo. L’uomo sì, perché Bowie non è mai apparso così tanto David Robert Jones come nel suo ultimo video. Senza paura di mostrarsi tormentato, vecchio, mortale.

Pensandoci bene però, forse, non è tanto la morte in sé che colpisce. Tocca a tutti, prima o poi. È il fatto che il trapasso sia stato accompagnato da un lavoro con una simbologia oggi più che mai tanto eloquente (black star, stella nera, è un termine usato in astronomia per definire quel tipo di stella, sulla cui effettiva esistenza ancora vi sono parecchi dubbi, assimilabile ad un buco nero) e lasciando calare l’intera vicenda della malattia nella totale segretezza. David Bowie avrebbe potuto fare qualsiasi cosa gli fosse saltata per la testa in questi 18 mesi di attesa, e ha deciso di fare un disco. E un disco lo fai per te stesso, sicuramente, ma lo fai anche per chi lo ascolta.

Prima della morte, della simbologia, della tempistica da brividi, colpisce ancora di più quello che sta a monte, colpisce che la reazione al dover andare incontro alla morte sia stata quella di fare un album. Non è come fare un disco riguardo alla scomparsa di un caro. Qui si tratta di mettere in musica la tua morte, che sai avverrà in un breve periodo di tempo; si parla di predisporre il tutto affinché questo accada. Se Bowie decide di fare un disco si mette in moto un meccanismo gigante, e lui l’ha azionato, come ultima reazione umana alla fine.
È una cosa disarmante, che, personalmente, mi fa sentire piccolo piccolo. È un sincero donarsi completamente all’arte e agli altri, che mi commuove. Un ultimo pensiero ma non a quel che è stato, senza patetismi né rimandi al passato: è un dire sono stato sempre io, fino in fondo, in ogni attimo. L’ultimo regalo di un’icona tanto complessa e mutevole in ogni suo aspetto, eppure così trasversalmente amata.

A 69 anni David Bowie, oltre ad un lascito artistico e culturale immortale, ci regala il suo ultimo personaggio: è David Robert Jones senza maschere né pantomime, senza più il bisogno di nascondersi.

Si è mostrato, finalmente, per quello che è, l’uomo a cui tutti noi diciamo grazie, di cuore.