Midem Keynote 1 - Music Evolution

Sono parecchi anni ormai che assistiamo ad epocali stravolgimenti nel modo di acquisire, ascoltare e conservare la nostra musica. Senza contemplare fanatici dei vinili e reazionari – ristrette categorie di individui che erano, sono e sempre saranno a parte – le persone comuni, nonché la fetta di mercato di maggior interesse per l’industria musicale, hanno interpretato un ruolo molto più attivo di quanto possa sembrare in questo continuo processo di rinnovamento.

Per intenderci, il passaggio dai compact disc alla libreria digitale di iTunes nel 2003, reso possibile dal celeberrimo online store di Apple, insieme all’ultima grande rivoluzione dello streaming, attuata in primo luogo da Spotify nel 2009, sono entrambi connessi ad uno specifico modello di innovazione concepito dalle singole compagnie ed attuato con l’indispensabile collaborazione (più o meno consapevole) degli utenti cui è indirizzato.

Questo modello, che è innanzitutto basato su una strategia aziendale, è chiamato Disruptive Innovation (“innovazione che disturba” in italiano) o addirittura Big Bang Disruption, in casi più particolari e recenti come quello di Spotify.

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Coniato da un professore di Harvard, questo termine è associato ad innovazioni capaci di creare nuovi mercati individuando nuovi clienti oppure, come per i nostri due esempi, in grado di trasformare mercati esistenti introducendo elementi di accessibilità, convenienza e semplicità. Qual è il risultato di tutto questo? In genere una nuova proposizione di valore per il consumatore con la conseguente sostituzione della tecnologia vigente. Ecco dunque come la fine dell’epoca dei CD e la nascita della “musica in affitto” siano effetti pianificati terribilmente nel dettaglio.

Ma soffermiamoci ora su ciò che è successo con Spotify, il caso forse più attuale ed interessante da analizzare attraverso i quattro aspetti principali ed indispensabili che caratterizzano le Big Bang Disruptions:

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Unencumbered development – Libero sviluppo

Daniel Ek e Martin Lorentzon, dopo mesi di brainstorming ed idee scartate, fondano Spotify nella primavera del 2006 a Stoccolma. Le parole chiave di questa fase sono: rapida concezione dell’idea, esperimenti low-cost e utilizzo di piattaforme possibilmente già esistenti. Anche per Spotify, dunque, l’approccio è stato trial & error e la prima versione beta viene sviluppata nel giro di un anno per la sola ristretta cerchia di famiglie ed amici.

Unconstrained growth – Crescita priva di vincoli

Dal punto di vista della diversa curva di adozione del mercato, rispetto agli altri tipi di innovazione, e per la possibilità di raggiungerne simultaneamente tutti i vari segmenti.

Spotify viene lanciato pubblicamente nell’ottobre 2008 con 40 dipendenti, l’app mobile è disponibile dall’autunno 2009, nel 2010 gli utilizzatori sono 10 mln in 7 diversi mercati e la compagnia può vantare ben 220 impiegati. Cinque anni dopo, gli abbonati sono 20 mln e gli utilizzatori attivi più di 75 mln.

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Undisciplined strategy – Strategia non disciplinata

Sono innovazioni ribelli a tutti gli effetti: nascono con migliori performance, ad un prezzo minore e con un maggior livello di customizzazione rispetto alle soluzioni analoghe per funzione già offerte dal mercato. Vi ricordate le ore spese a sistemare la libreria di iTunes e la musica acquistata spesso “per singoli” e non “per album”? Ecco due problemi risolti nonché due esempi di vantaggi di performance e costo facilmente attribuibili a Spotify.

No need for complementary assets – Nessun bisogno di asset complementari

Data la diffusione ormai impressionante delle IT e delle piattaforme di comunicazione, le innovazioni come Spotify praticamente non necessitano inizialmente di un forte brand, di forza lavoro, accesso alle reti distributive o particolari sforzi di marketing. Ovviamente questo implica anche lo svantaggio di una maggior possibilità di emulazione e di un ciclo di vita più ridotto.

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Generalizzando ora il discorso, risulta più evidente come l’innovazione sia una costante alla base della creazione di valore per i consumatori e, allo stesso tempo, come il focus dei players già presenti sul mercato (vedi Apple) e dei nuovi entranti (come è stato Spotify) sia stia orientando verso la cattura del valore, con relativi profitti, in un più breve termine. Ecco perché, considerato il successo dei modelli freemium, il continuo sviluppo HW e SW, la crescente viralità della rete e la maggior accessibilità a fonti di finanziamento (es. crowdfunding), è lecito aspettarsi cambiamenti nel mercato musicale sempre più improvvisi, veloci e poco duraturi.

Avete appeso la chitarra, l’iPod o i libri al chiodo perché vi è venuta un’idea interessante e credete possa funzionare?

Iniziate a svilupparla, le 3F (Family, Friends e Fools) saranno i primi a scommettere su di voi nonché la vostra prima fonte di finanziamento e per il futuro… Buona fortuna!

ph. credits: ekimetrics