Il jazz, oltre ad essere un’espressione musicale estremamente complessa, una macrocategoria decisamente ampia, è sicuramente una faccenda molto seria. E non poteva essere altrimenti considerando che entrambe, la complessità e la serietà, sono variabili costanti quando il soggetto dell’analisi è l’uomo. Body & Soul – il programma radiofonico di Pino Saulo andato in onda su Rai Radio3 e condotto da Claudio Sessa e Stefano Zenni – si propone, e propone all’ascoltatore, una storia disinvolta del jazz; e “disinvolta” non sta a significare, come spesso ricordato dai conduttori, “meno seria”, ma piuttosto “franca”, nella forma come nel tipo di approccio comunicativo. Body and Soul, insomma, incarna perfettamente lo spirito jazz: è un programma serio che tratta liberamente e con naturalezza l’argomento, senza pretesa alcuna.

Body and Soul è trasmesso ormai da diversi anni e generalmente va in onda il primo pomeriggio del sabato e della domenica durante i mesi estivi (qui trovate i Podcast scaricabili). Le puntate di quest’anno sono state strutturate così: due appuntamenti a settimana, uno il sabato e l’alto la domenica. Ogni sabato è messo a tema uno strumento diverso – dalla chitarra all’orchestra – e il rapporto, ovviamente di questo, con il jazz. In diretta intervengono musicisti – e questa è una novità – che raccontano la loro relazione intima, personale con lo strumento specifico, quello trattato durante la puntata e che normalmente suonano, per mezzo di ascolti scelti dallo stesso e enunciando le ragioni o citando i grandi artisti che hanno spinto loro a studiare quel dato strumento. La domenica, invece, Claudio Sessa ripercorre la storia dello strumento di cui si è parlato il sabato prima, accennando agli artisti che più di altri sono stati interpreti dello stesso e offrendo così una chiara e luminosa soggettiva.

Body and Soul è un piccolo ed esaustivo compendio del jazz, che restituisce al genere il primo piano che merita. E la nuova linea adottata dal programma, finalizzata a marcare il fattore umano inscindibile dall’espressione jazz, arricchisce in modo esponenziale il valore e il volume dello stesso riempiendolo di contenuti profondi ed emotivi, gli stessi che hanno permesso la nascita di questo tipo di composizione. In pochi altri generi musicali, infatti, è stato concesso all’uomo un ruolo così centrale. In poche altre occasioni è stato permesso allo stesso di esprimersi tanto liberamente, mettendo insieme esercizio di stile e animo febbrile, lo studio accademico e la frenesia. In pochissimi altri casi, al di là del jazz, si è realizzato un Umanesimo musicale e di questa portata poi.

Le nuove puntate di Body and Soul fanno emergere proprio questo: l’umanità di cui è infarcito il jazz, il rapporto ossessivo e indissolubile che lega i due; e poi anche quella verità taciuta ma assoluta secondo cui il jazz non potrà mai solo essere studio accademico: ha bisogno dell’uomo in quanto carne, in quanto figlio della passione irosa oppure docile, mansueta. Che infine il jazz risponde a tutto il sentimento umano, ora cullando il capo quando sono la spensieratezza e la leggerezza a rapirlo, e poi offrendo un sicuro rifugio quando è l’inquietudine a prendere il sopravvento. L’esecuzione è allora così un’idea musicale, un’intuizione, una composizione estemporanea, pensata ed eseguita nello stesso momento. Ogni strumento, poi, di rimbalzo, è quindi l’estensione di chi lo suona, un particolare e personale mezzo del quale ci si serve per esprimere la propria e unica sensibilità ritmica. Il jazz, dunque, quale somma risultante da tutte queste unità, prende forma dal movimento circolare e centripeto del dialogo: come l’esplosivo stile contrappuntistico, è il frutto della combinazione di più melodie contemporaneamente, di più colori allo stesso tempo, alimentando così la pluralità del discorso musicale e, in più, la varietà e la ricchezza del linguaggio polifonico. Il jazz è insomma il risultato della partecipazione di più atomi che conversano schiettamente.

E anche per questo motivo Body and Soul è un programma assolutamente piacevole e insieme autorevole. Perché ricolloca l’uomo-artista al centro del dialogo musicale e lo restituisce al grembo da quale è stato partorito: il cenacolo popolare, la gente comune. E poi anche perché trova un’esistenza coerente in un medium, la radio, snobbato tanto quanto il jazz, ma che, più di altri mezzi di comunicazione, ottempera ancora all’importante funzione pedagogica e che si presta, più di tutti gli altri, alla trasmissione di un genere musicale che, nato negli speakeasy, ha da sempre preteso una cosa sola: essere ascoltato in assoluta tranquillità, con magari tra le mani qualcosa da bere.