Se gli studi hanno dimostrato che sia il bassista il componente più importante di una band, sicuramente quello che scopa di più è il batterista. Sono i segreti che si porta appresso, nascosti dietro tamburi e piatti, che lo rendono affascinante e misterioso, con una marcia in più. Dai, chi si fila ancora i cantanti e i chitarristi?

Nei primi anni 2000 il ruolo del batterista, grazie soprattutto a Travis Barker, è tornato in voga come non succedeva dai tempi delle disavventure di Tommy Lee con Pamela Anderson nel decennio precedente. In quegli anni i ragazzini appassionati di musica rimanevano folgorati dalle performance di Barker così come quelle di Joey Jordison degli Slipknot o Dave Grohl dei QOTSA per citarne alcuni; tutti performer clamorosi, difficili da studiare e da replicare.

Negli stessi anni però nascevano anche le primissime band cosiddette indie, che sicuramente non vantavano di batteristi acrobatici come quelli sopra, ma tutti dotati di ottima tecnica ed estrema fantasia. Un genere non particolarmente difficile da suonare, ma che, specialmente alla batteria, ha tirato fuori musicisti coi controcazzi e groove che hanno segnato un’intera generazione.

Tra le migliaia di indie band spuntate fuori negli ultimi 20 anni abbiamo selezionato i migliori 10 batteristi del genere.

10 – Paul Thomson – Franz Ferdinand

Personaggio fenomenale: tiene nota degli hamburger che mangia per stilare la sua classifica personale, cura le coreografie in alcuni video dei Franz Ferdinand, canta le versioni in tedesco dei brani della band, ha lavorato come modello di nudo a Glasgow e chissà cos’altro ha fatto. Paul Thomson non ha creato nessun groove spettacolare anzi si è sempre ‘limitato’ a tenere il tempo, ma la sua compostezza e la sua classe ne hanno fatto un batterista sopra le righe capace di far ballare 10 anni di indie-dancefloor da Take Me Out fino a Right Action passando per No You Girls, Do You Want To e The Fallen.

9 Matt Tong – Bloc Party

Matt Tong è un pazzo scatenato a tratti epilettico. Basta pensare a brani come Like Eating Glass o Helicopter o al giro di Hunting For Witches per capire chi abbiamo di fronte. Ritmi post-punk e creatività indie che hanno influenzato tutto il genere negli anni successivi. Peccato poi per le drum-machine usate in Intimacy che praticamente gli hanno tolto il lavoro e peccato anche per tutta la merda uscita appunto da quel disco in avanti.

8 Ronnie Vannucci Jr. – The Killers

Ronnie Vannucci Jr. è un batterista vecchio stile a metà tra il glam-rock e il synth-pop che negli anni gli ha conferito un identità molto rock ‘n roll. Suona classiconi semplici come All These Things That I’ve Done e Read My Mind per passare alle più movimentate Bones, The Ballad of Michael Valentine e Sam’s Town, brano in cui tra l’altro il batterista ha aggiunto in studio qualche “chic, chic, swoosh” cantati in mezzo ai suoni delle percussioni. Una bestia live, su Youtube trovate infatti anche molti video di assoli che dimostrano la sua versatilità e l’ottima tecnica.

7 Sam Doyle – The Maccabees

Se le percussioni del primo disco (Colour In It, 2007) dei Maccabees vi sembravano troppo statiche e monotone non vi sbagliate. Sam Doyle non faceva ancora parte della band e al suo posto c’era Robert Dylan Thomas che ha registrato appunto il disco di cui sopra. Sam è arrivato solo l’anno successivo portando, insieme a tutta la band, un suono più ricercato e pieno di sfaccettature.
Subito in Wall Of Arms (2009) con Love You Better, Can You Give It e Seventeen Hands per continuare con una performance fantastica in Heave di Given To The Wild (2012) così come in Ayla, Went Away. Nell’ultimo disco Marks To Prove (2015) ha dimostrato ancora di saperci fare nonostante i ritmi veloci dell’indie fossero finiti da anni: Kamakura ne è la prova.

6 Brian Chase – Yeah Yeah Yeahs

Uno dei pochi se non l’unico a usare l’impugnatura tradizionale delle bacchette nel mondo dell’indie. Brian Chase è il maestro di batteria che tutti vorrebbero avere: simpatico, alternativo, faccia rassicurante e una tecnica mostruosa. Negli anni ha mixato la potenza del hard-rock (Fancy in Show Your Bones, 2006) con i ritmi e i suoni indie (Y Control in Fever To Tell, 2003) creando capolavori come Maps.

5 Suren de Saram – Bombay Bycicle Club

Di origini cingalesi, Suren de Saram è un capolavoro di batterista dalla tecnica sopraffina: nell’album di esordio dei Bombay Bycicle Club (I Had the Blues But I Shook Them Loose) possiamo sentire 12 differenti meraviglie alla batteria; una per ogni canzone. Always Like This mai banale, Evening / Morning da spaccare gli strumenti contro la batteria e Lamplight per sognare. Passato un po’ in secondo piano nei due dischi centrali della band (uno acustico l’altro molto elettronico), è tornato a farsi sentire in So Long, See You Tomorrow con ottimi performance in Luna, Feel e Carry Me.

4 Christian Grahn – The Hives

Chiamato anche “braccio bionico“, Christian Grahn è il padre di tutti i batteristi indie: una carriera oramai ventennale fatta di sedicesimi scolpiti in tempi troppo veloci per un essere umano. In Tyrannosaurus Hives (2004) ha raggiunto l’apice con le varie Two-Timing Touch And Broken Bones, Love In Plaster e No Pun Intended che a suonarle una dopo l’altra non può che venirti un tunnel-carpale. Anche recentemente in Lex Hives (2012) ha dato dimostrazione della sua velocità e della sua tecnica in brani come These Spectacles Reveal the Nostalgics e Patrolling Days.

3 Chris Tomson – Vampire Weekend

Se c’è una parola che si fa fatica a trovare nel vocabolario dei Vampire Weekend è la banalità, specialmente in quello di Chris Tomson sembra proprio non esserci. Prendete Cousins, California English e Givin’ Up The Gun: cosa cazzo si è inventato? Tamburi, campanacci e suoni tribali da far uscire di testa. Non è da meno con l’epilettica Diane Young o nella cavalcante Unbelievers. E di Cape Cod Kwassa Kwassa, Oxford Comma e A-Punk ne vogliamo parlare? Favoloso.

2 Jack Bevan – Foals

Probabilmente il più influente e fenomenale batterista post indie-dei-primi-anni-2000. Jack, grazie alla sua formazione post-rock e math-rock, In Antidotes (2007) e Total Life Forever (2010) è riuscito a tirare fuori delle perle preziosissime come il il groove di Balloons, le sincopi di The French Open o di Two Steps, Twice (suo cavallo di battaglia). Afterglow e Provicende l’hanno portato in ambienti più stoner-rock, ma nonostante il suo impatto negli ultimi due album sia diminuito si possono ancora sentire ottime performance come Bad Habit o Albatross.

1 Matt Helders – Arctic Monkeys

Di Matt Helders si potrebbe parlare per ore: un ragazzino con l’acne che a soli 19 anni scriveva le parti di batteria di The View From The Afternoon o I Bet You Look Good On The Dancefloor. Così delicato e preciso nelle ballate (Riot Van, Cornerstone, Piledriver Waltz, No.1 Party Anthem) quanto devastante sotto ogni punto di vista quando c’è da pestare forte (Brianstorm, When The Sun Goes Down, Preety Visitors). Ormai da 14 anni è la colonna portante degli Arctic Monkeys trovando sempre la marcia giusta sui impostare ogni cambio di stile della band, anche nell’ultimo disco dove tanti lo hanno criticato per la sua staticità (non avranno ascoltato R U Mine?). Tra le sue migliori perfermonance, oltre alle già citate, ci sono Who The Fuck Are Arctic Monkeys (2006), Leave Before The Lights Come On (2006), Sketchead (2009) e Perhaps Vampires Is A Bit Strong But… (2006). L’Agile Beast non ha rivali.