Per il suo secondo album, Vince Staples decide di fare Kanye West (leggasi “stravolgere tutto”) e abbandona molti dei tratti che hanno contribuito a rendere Summertime ’06 meraviglioso per rimpiazzarli con nuovi suoni, collaborazioni che sembrano selezionate apposta per adescare i più hipster tra il pubblico e dichiarazioni che lasciano trasparire una grossa voglia di non spiegare nulla.
Di queste ultime in realtà, da quando il mondo ha iniziato ad interessarsi davvero a lui, ne è pieno il web. Staples è un ragazzo intelligente che commenta e risponde alle domande con ironia e senza filtri, una manna per giornalisti ed intervistatori che finiscono spesso a glissare sulla sua musica per occuparsi di tutto il resto. Questo significa in breve che il messaggio di questo disco, che è a suo modo molto politico e quindi ce lo avrà un significato nel complesso, è nascosto nella musica e forse nei video dei singoli, nelle dichiarazioni ritrattate in cui parla di afro-futurismo, nei tweet cancellati in cui parla di finire al MOMA.
Ad una domanda proprio sul significato della big fish theory risponde che ogni ascoltatore può farsene una propria idea ascoltando il disco. Ma questo, forse, vuol dire solo che la risposta è dentro di noi, però è sbagliata.
La spiegazione più sensata potete trovarla nell’introduzione al disco su Genius: la teoria sostiene che un pesce diventa grande tanto quanto il suo ambiente, il suo contenitore, lo permette. La metafora potrebbe riguardare tutti noi, ma è evidentemente un riferimento alla condizione dei neri in America all’interno di una società che vuole mantenerli sul fondo, un ambiente in cui la condizione prevalente è la guerra tra poveri (Crabs In A Bucket) in una totale assenza di protezioni o tutele da parte dello stato. Tutto questo influenza ovviamente la vita personale di Staples e la sua condizione di “povero diventato famoso”, su cui lui si esprime da un punto di vista personale ed unico per acume e lapidarietà. Nel disco si parla di temi sociali, amore, dei cliché nel rap e nell’arte, di arte e depressione.
Ho letto anche di un’ipotesi per cui l’universo sarebbe in realtà un pesce gigante e magari è questo il vero senso del disco. Vai a saperlo.
C’è altro da dire sui testi, ma prima è necessario parlare delle produzioni e di come suona il disco, o si rischia di non capirci molto.
Innanzitutto tra i produttori ci sono Flume, Justin Vernon, sample da Oneohtrix Point Never e praticamente nulla che abbia a che fare con quelle che solitamente sono le produzioni di un disco rap. Si parla di Techno, UK Garage, EDM cafona (BagBak nel disco ha anche senso, ma come singolo è incredibilmente tamarro) riadattate perché il rap sopra non suoni accessorio o inutilmente forzato. Il centro del disco però diventano comunque i bassi più che le liriche, anche per i tempi veloci su cui si appoggiano, ed è giusto e bello così. Il disco non suona come se qualcuno provasse semplicemente a rappare su musica dance, ma sembra che Vince Staples – a cui sicuramente non importa niente di etichette e generi, – abbia spinto il rap contemporaneo fuori dalla sua comfort zone di suoni trap, mumbling e frasi di cinque parole. I testi insomma sono importanti ma non così tanto, è una caratteristica del rap odierno ma anche (in gran parte) della musica da sempre. Almeno in questo caso però, pur lontani dall’essere il punto focale, è tutto scritto in maniera così intelligente da meritare attenzione. Anche in questo Big Fish Theory si allontana da Summertime ’06, tutto è più conciso, pungente e weird. In Party People, il cui ritornello è esattamente “Party people, yeah/ Party people I like to see you dance“, si parla di pensieri suicidi e sesso, una versione solo leggermente più stabile di un pezzo di Danny Brown.
Il disco è breve e si presta ad un ascolto compulsivo, la metà dei pezzi non raggiunge i tre minuti (in accordo alle logiche moderne del mercato) ed i featuring sono usati più spesso come strumento che come complemento del pezzo. Con la singolare eccezione di Kendrick Lamar che fa quello che vuole su una produzione di SOPHIE, quasi tutte le altre collaborazioni rimarrebbero probabilmente nascoste se non fossero esplicitamente accreditate. In Crabs In a Bucket dovrebbe esserci Justin Vernon ma nessuno ne è sicuro, Damon Albarn in Love Can Be potrebbe essere chiunque altro ed il pezzo sarebbe lo stesso, Asap Rocky è presente in almeno un brano ma si limita a fare la voce in un coro. Potrebbe trattarsi solo di esche ed hype o magari è tutto legato al trovarsi all’interno di un pesce gigante, in qualche modo. Una teoria che più ci si pensa più diventa bella.
In sostanza, quello di Vince Staples è più che un tentativo riuscito: questo secondo disco è una manna dal cielo. Il suo impatto potrebbe essere limitato dalla minor fama del rapper, ma apre nuove porte al genere e rappresenta quello a cui un disco rap moderno dovrebbe ambire: intelligenza, ironia e talenti veri alle produzioni. Musica fatta per ragazzi sulla ventina da ragazzi sulla ventina con idee, mezzi e capacità.
Big Fish Theory è arte vera, senza spocchia o sovrastrutture.
Tracce consigliate: Big Fish, Yeah Right, 745, SAMO