[Scritto in collaborazione con Lex, anche lui presente: prestazione maiuscola]

Venerdì al Covo hanno suonato gli Wild Nothing, numeroso collettivo statunitense in lizza per gli Deer Waves Award. Sapete tutti quanto parteggi spassionatamente per loro quindi non sprecherò ulteriori parole e arrivo subito a ciò che ha impreziosito ulteriormente la data, ovvero l’opening act dei Brothers In Law, che, per chi non lo sapesse, a marzo da Pesaro volano fino ad Austin perché loro suonano al SXSW e se vi sembra poco cercate su google “sxsw” e poi silenzio.
La serata aveva quindi tutte le carte in regola per rimanere impressa nella memoria, ma è stata rovinata da un manipolo di coglioni che per tutta la serata ha pogato, spintonato e addirittura è arrivato a sollevare uno del pubblico in un crowdsurfing fuori luogo: ma come siete messi??? Siamo a un concerto non in un ring di boxe!!! Tornatevene a casa abbiamo pagati 15€ per il concerto vorremmo vedere lo spettacolo senza che ci rompete le balle!!!!! Fuori dai locali speriamo vi piglino a sberle.

Malgrado queste persone violente e insensate i concerti sono comunque un successo. I Brothers In Law stupiscono subito per il grande passo in avanti nella resa dei live, grazie anche all’ingaggio di un fonico di palco che perfeziona i loro suoni. Convincono i nuovi pezzi ed esaltano quelli già conosciuti e tutto lascia intendere che il debut album in uscita nei prossimi mesi li consegnerà alla ribalta come uno dei nomi italiani imperdibili del 2k13.

Non fa tempo a iniziare gli Wild Nothing che il locale è già sold out (ma tutte le fighe rimaste fuori sono riuscite a entrare al dj-set di chiusura, tranquilli). Gli Wild Nothing (ovvero Jack Tatum e la sua crew) salgono sul palco e in pochi secondi comincia già, come un fulmine a ciel sereno, Shadow. La scaletta prosegue districandosi tra i due album per una scaletta di dodici canzoni (sei da Gemini, cinque da Nocturne, più Golden Haze dall’omonimo EP) interpretate impeccabilmente. L’esibizione non annoia per un momento, tant’è che la risposta del pubblico, soprattutto nelle prime file, è entusiasta e quasi immediata e stupisce la band, soprattutto da Only Heather in poi, quando cominciano i cori e le altre puttanate (‘STI COGLIONI CHE POGANO A UN CONCERTO!!!).
Purtroppo non sono mancati i problemi. A parte il jack malfunzionante della seconda chitarra, che ha causato un po’ di scricchiolii prima di Gemini facendo in modo che il Jack benfunzionante degli Wild Nothing dicesse qualche sciocchezza di circostanza al microfono, il grande problema che ha penalizzato l’intera esibizione è stato il livello delle tastiere, sicuramente basse in uscita dall’impianto della sala e, pare, problematiche anche in spia al tastierista stesso: questo purtroppo ha causato la cancellazione di Paradise dalla scaletta (e c’era, mannaggia se c’era), ma più in generale non ha dato al sound degli Wild Nothing quella profondità che stupisce per prima su disco, soprattutto in Nocturne. Un vero peccato perché, come già detto, l’interpretazione dei brani era stata impeccabile da parte di tutti i cinque musicisti e, in presenza degli adeguati suoni di synth, si avrebbe indubbiamente avuto una resa live pari a quella in studio.
Invece è andata così e NON HANNO FATTO PARADISE. La gente si è disperata, qualcuno si è suicidato, ma Jack poco prima della conclusiva Summer Holiday era stato chiaro: “This is our last song…” (e dal pubblico “PARADAAAAAIS!”) “… Maybe it’s not the one you wanna hear”.

Il concerto finisce, un po’ di amaro in bocca lo lascia per forza, ma non si può che essere soddisfatti dopo due live di questo livello e poi non bisogna piangersi addosso che parte il dj-set e (anche se il secondo pezzo è degli xx) è ora di limonare fighe indie.